Un intollerabile prima
recensione di Flavio Ermini
dal numero di giugno 2017
Roberto Rossi Precerutti
FATTI DI CARAVAGGIO
pp. 81, € 12
Aragno, Torino 2016
La poesia di Roberto Rossi Precerutti ci porta al cospetto del vero e lì ci svela che noi comunemente non vediamo ciò-che-è, ma ciò che “crediamo” di vedere. Ci impone in tal modo di imparare a vedere; ci induce a un’esperienza che può rivelarsi essenziale, ma anche profondamente dolorosa, così come testimoniano le opere di Caravaggio, dove l’artista rinuncia all’invenzione per puntare sui “fatti”; rinuncia al “bello” per abbracciare il “vero”; fa parlare i “fatti” per coglierne il sostanziale movimento e in tal modo “catturare l’istante in cui le cose / si ritirano in sé, come inchiodate / in una allucinata perfezione”.
Per questo libro possiamo parlare di messa in opera di ciò-che-è. L’autore ci porta al cospetto del vero attraverso i dipinti di Caravaggio, lavori dove il mondo abituale e illusorio delle doxai viene abbandonato per abbracciare un mondo che vuole intimamente fondarsi sul registro di una forza infiammante. Alternando sulla pagina prosa poetica e versi – con la stessa radicalità con la quale Caravaggio incide sulla tela luci e ombre – Rossi Precerutti si propone di rifare il mondo dall’inizio, facendo leva su qualcosa che non appartiene al mondo visibile: sulla sua essenza. Questa poesia si presenta come un campo attraversato da conflitti, discorde, sempre pronto a collassare; si annuncia con un grido, “il grido / che prepara il tempo di una caduta // o del sangue versato nella furia / accecante”.
Siamo irretiti nell’apparenza. Non la riconosciamo come una preliminare forma di ciò che è veramente. Non la interpretiamo come un semplice accesso all’essere essenziale. Ecco perché il poeta ci chiede di seguire la via indicata dal lavoro di Caravaggio, lungo un cammino che inizia consapevolmente nel regno dell’apparenza, per trovare alfine il suo nesso costitutivo nell’essenza delle cose, dove insieme vigono splendore e tenebra: “La premessa è uno spazio potato dal fuoco, le tempie protese verso ciò che si è lasciato in un intollerabile prima”. Ebbene, quel “prima” non può essere scambiato con quello che vediamo illusoriamente intorno a noi. Il “vero” – al cui cospetto ci porta Rossi Precerutti attraverso le opere di Caravaggio – è colto nell’estrema urgenza del suo percorso spaziale, sempre traumatico, assimilabile all’improvvisa crepatura di uno specchio. Sarà quella crepatura il mezzo per esplorare l’abisso dell’animo umano e così rivelarne la natura e il destino.
Parola e segno conducono alla verità
Possiamo definire questo libro come una radicale esperienza dei sensi. È un testo che prende la parola ed esclama con spirito ardente, ostile a ogni compromesso: la verità è mia giurisdizione! Lo dice con voce ferma, alza la voce e ci costringe a dialogare con “lo spazio potato dal fuoco”, così come avviene nelle opere di Caravaggio. La parola si esercita sul segno, e del segno – ovvero dell’altro – dice la verità. Ci porta in una di quelle saldature della storia in cui tragici contrasti sociali, religiosi, di mentalità, cambiamenti politici ed economici modificano (esattamente come accade nella nostra epoca) l’aspetto del mondo, stretto tra “un orlo privo di suono, inghiottito dalla mancanza di luce, e questo tempo insorto che ha lungamente atteso il bagliore”.
La poesia di Rossi Precerutti riconosce nei dipinti di Caravaggio la dolorosa cifra di quel vero che i sensi ci mostrano in tutta la sua intollerabilità. Accade come in una poesia di Trakl: “Torna ancora la notte e geme un mortale / e un altro divide la sua pena”. E così la parola del poeta si aggiunge al segno dell’artista. Così si annuncia il dolore, in un assalto contro la bellezza in nome dei “fatti” e del vero. Parola e segno mostrano in quale misura il dolore sia una condizione di vita mai estranea all’uomo, a ciascuno di noi.
La sofferenza passa, ma non passa mai l’aver sofferto. Questa rivelazione non si dimentica più. È brace ardente che non si spegne. È “ignoto fuoco che consuma la perfidia della bellezza, una scappatoia triviale per dire la latenza della gioia, scivolata sotto invisibili foglie profetiche”. È ribellione che si fa grido e pianto e, pur senza speranza, mai diventa cenere. Poeta e artista diventano un uomo solo, per il quale è necessità approfondire il proprio stato di essere umano, posto di fronte alla vita, svelata nella sua sostanza più dolorosa, più buia. L’esperienza del dolore lacera le griglie del sapere ed espone violentemente il mortale all’evidenza della propria precarietà e apre varchi inaspettati di riflessione.
Oscurità e luce, nelle loro misteriose alleanze, offrono un unico spettacolo: la nostra fragilità. Tra oscurità e luce si svolge un dialogo che si configura come un canto alternato, dove di volta in volta una parola o un gesto aderiscono ai “fatti” e dicono tutto quello che è necessario dire; lasciano scorgere sulla pagina o sulla tela una traccia di ciò su cui comunemente viene steso un velo.
flavio.ermini@anteremedizioni.it
F Ermini è poeta e saggista