Nella ruota a otto raggi
recensione di Andrea Casalegno
dal numero di gennaio 2017
Paolo Cognetti
LE OTTO MONTAGNE
pp. 200, € 18,50
Einaudi, Torino 2016
In Nepal si dice che il mondo è una ruota a otto raggi. Al centro c’è una montagna altissima, il monte Sumeru, intorno otto montagne, i raggi della ruota, e tra di loro otto mari. E si domanda il saggio: «Avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?».
Nella terza e ultima parte di Le otto montagne Bruno, il montanaro, che nasce e vive alle falde del Grenon, domanda a Pietro, il narratore, l’amico di città che ha venduto il suo piccolo alloggio di Torino per girare il mondo: «Tu saresti quello che va per le otto montagne e io quello che sale sul monte Sumeru?». «Pare proprio di sì», risponde Pietro. Bruno non ha mai lasciato il piccolo paese natale di Grana; mettere su famiglia e mantenerla con un alpeggio alle falde del Grenon è come scalare un monte altissimo.
Pietro, il milanese, lavora in Himalaya. Ma hanno una casa in comune, fatta con le loro mani: “Barma drola”, in faccia al Grenon, ovvero “la roccia strana”. Barma drola è il centro della ruota nella seconda parte: un vecchio rudere ricostruito, con il tetto addossato alla parete e due stanze, una piccola e chiusa con il lucchetto, perché è il deposito degli attrezzi, l’altra grande, con la stufa, sempre aperta come un rifugio. Ma una scritta dice che “è nel ricordo il più bel rifugio”.
Miti e simboli sono universali, cioè a disposizione di tutti. Non siamo forse tutti il monte Sumeru? Volente o nolente, ognuno è il centro del proprio mondo e intorno a lui i raggi della ruota sono le persone che gli sono care. Conoscersi è difficile come salire il monte Sumeru.
Un classico, limpido e asciutto
Molti lettori diranno che in questo libro è la montagna il centro della ruota. Forse. L’interpretazione autentica è quella di ogni lettore. A me pare che nella prima parte, Montagna d’infanzia, il centro sia il narratore, fino ai sedici anni. Lo ritroviamo a trent’anni nella seconda, di cui s’è detto. Nella terza il centro è Bruno, non per nulla si intitola Inverno di un amico. Le otto montagne è scritto come un classico, limpido e asciutto. Ha la pendenza aurea del romanzo breve, o racconto lungo, e percorrendolo si respira bene. Cognetti (1978) non ama le parole di troppo, come quando sale o scende in montagna, dove vive per metà dell’anno. E gli elogi sono superflui per un libro che è già stato venduto in trenta paesi ed è stato protagonista italiano alla Buchmesse di Francoforte.
Per metà del racconto i fatti si svolgono lineari; poi arrivano le sorprese. Sono poche, ma così importanti che è vietato parlarne, per non rovinare la lettura. Pochi sono anche i personaggi: i due amici, i loro genitori, qualche parente stretto. Leggendo veniamo a conoscerli bene. Il punto di vista è maschile, ma le donne sono molto importanti. La trama è l’amicizia: è questo il centro della ruota nepalese. I rapporti fondamentali sono i raggi della ruota. La montagna è il cerchione: senza di esso i raggi non stanno insieme. La montagna e i suoi alpeggi: una realtà antica, difficile ma oggi ancora ben viva.
Se la ruota è un simbolo, non del mondo, forse, ma della nostra vita, il racconto ci offre altre due immagini simboliche. Se entriamo nell’acqua di un torrente, che scorre come il tempo, dove sono il passato e il futuro? domanda a Pietro il padre, un uomo ombroso, caparbio, in lotta perenne con il mondo, cioè con se stesso e i propri sensi di colpa. Gli piacciono gli indovinelli. «Il futuro è giù, dove va l’acqua» risponde Pietro; cioè a valle. «Sbagliato, per fortuna» lo corregge il padre. Solo qualche anno dopo, andando a pesca con Bruno, Pietro capirà perché ha sbagliato. Se guardi a monte, come fanno i pesci, che mangiano con il muso rivolto alla corrente, il futuro ti viene incontro e alle spalle hai l’acqua passata. Il destino viene dall’alto, dalla montagna. Ma se le volti le spalle, potrebbe aggiungere il lettore, il futuro è a valle, dove l’acqua scende. Ogni simbolo è reversibile.
La montagna è di chi la vive
Bruno vive in montagna, come la parte migliore di Pietro, o quella che lui crede migliore. In montagna però si può vivere al diritto, a l’adret, oppure al rovescio, a l’envers. Il diritto è il versante esposto a sud, dove batte il sole; il rovescio è il versante nord, dove la luce è riflessa, l’inverno dura a lungo e al disgelo cadono le slavine. Nelle loro scorribande Pietro e Bruno amano esplorare i versanti all’envers e i loro ruderi, e all’envers si costruiranno la baita; e la vita. Guardano a monte. Ma quale versante? La ruota non lo dice.
Protagonista è dunque la montagna, o sono le persone che la abitano? Domanda superflua. Che cosa sarebbe, letterariamente parlando, la montagna, senza le persone? In ogni caso, è la montagna di chi la vive seriamente: perché ci vive, ci lavora, la scopre camminando, o almeno la abita per una parte dell’anno e ne ama i prati, i boschi e la gente, come la madre di Pietro. La montagna degli sciatori e dei rocciatori c’è; ma è appena sfiorata.
casalegno.salvatorelli@gmail.com
A Casalegno è giornalista