Diventare una mela
recensione di Mariolina Bertini
dal numero di novembre 2016
Nicola Barilli
ITALIA IN AUTUNNO
pp. 219, € 15
Pendragon, Bologna 2016
C’è una pagina, in questo romanzo, che è un’efficace allegoria della condizione esistenziale del protagonista Andrea, classe 1976, soprannominato Cinquecento (o per brevità Cinque) da una mamma che da sempre lo associa, con affettuoso ottimismo, a due miti del made in Italy: il Rinascimento e la Cinquecento Fiat. È il racconto di un sogno. Svogliato dottore di ricerca in germanistica, Andrea, rientrato da poco nella natìa Bologna dopo uno stage di un anno a Berlino, sogna di essere in un supermercato berlinese. Ma non è lì come cliente: è diventato una mela, persa tra le identiche mele di un’anonima cassetta. Passa Nadia, la ragazza ceca con cui Cinque ha avuto a Berlino una breve, clandestina e intensissima storia d’amore: «Tra i suoi zigomi sdegno e dolcezza combattono la solita guerra senza vincitori». Andrea vorrebbe attirare la sua attenzione ma non è più un essere umano, è una mela, «liscia, immobile e impassibile», e non può cogliere, ma soltanto essere colto. Sfuggito allo sguardo di Nadia, che d’un tratto scompare, non sfugge però a quello imperioso di Ada, la sua fidanzata bolognese, che si materializza repentinamente e apostrofandolo con l’indice puntato lo riporta alla forma umana. Difficile condensare in un emblema più preciso l’esistenza di Andrea. Quella «periferia senza inizio e senza fine che è la pianura padana meridionale» dove è nato, è la sua cesta di mele; ne porta il marchio originario di una fisionomia senza tratti di vistosa originalità. Tutti però si aspettano da lui che in uno scatto di volontà e di inventiva si distingua dalla massa, scopra in sé una vocazione e un talento che lo porteranno a una qualche forma di affermazione.
Nell’Italia dei primi due decenni del XXI secolo, aspettarsi questo da un giovane studioso di letteratura di modeste origini, non particolarmente versato nei machiavellismi del galateo accademico, è un po’ come aspettarsi che una mela balzi fuori dalla sua cassetta. Cinque sperimenta il disagio di tutta la sua generazione, e il tramonto delle illusioni dei suoi genitori, che hanno sperato nelle «magnifiche sorti e progressive» del mondo rinato dalle ceneri della Seconda guerra mondiale. Ma un’altra, più personale ferita lo rende ancora meno adatto dei suoi coetanei alla lotta per la vita: all’indomani dell’esame di maturità, Andrea ha perso l’amico geniale della sua adolescenza, Sergio, fuggito senza più dare notizie di sé. La vita di Andrea si trova così ad avere due centri, entrambi fuori dalla realtà: l’assenza di Sergio, a cui non si rassegnerà mai, e il ricordo di Berlino e di Nadia. La rievocazione delle atmosfere berlinesi, della comunità di giovani stranieri, della necessità di incarnare lo stereotipo dell’italiano per ritagliarsi un minimo spazio vitale, è forse la parte più suggestiva ed esilarante della storia di Andrea; sino allo struggente brindisi finale tra le braccia di Nadia, guardando Casablanca. Il climax è nel pranzo al finto ristorante pugliese con i genitori in visita, e gli amici di Andrea impegnati, con una pantomima degna dei fratelli Marx, a persuaderli che il figlio ha fatto una folgorante carriera. Scorrono intanto fiumi di vino romeno o polacco, e il giapponese Yuki contribuisce all’atmosfera con le sole parole d’italiano che conosce: «Bella Italia! Mamma mia!».