Nelle pieghe della finzione
recensione di Matteo Fontanone
dal numero di maggio 2017
Gaia Manzini
ULTIMA LA LUCE
pp. 248, € 18,50
Mondadori, Milano 2017
Quando a sessantotto anni Ivano rimane vedovo, il mondo intorno a lui si riaggrega e torna nitido, come se un’intera esistenza passata ad assecondare i vezzi e le debolezze della moglie Sofia l’avesse privato di uno sguardo lucido sulle cose. In effetti, e andiamo subito al dunque, nel corso del romanzo si scopre che a Ivano qualche tassello è sfuggito davvero. Innanzitutto il rapporto con la figlia Anna, orientato su un binario di incomunicabilità già dai tempi del liceo, quando una serie di circostanze piuttosto canoniche in un rapporto genitore e figlio compromette il dialogo tra loro. E poi, da vero romanzo borghese, la menzogna orchestrata tutta in famiglia. In vacanza nel buen retiro caraibico del fratello Lorenzo, ex-broker di borsa mai sposatosi, a Ivano si palesa una verità che da sempre faceva capolino nelle pieghe della sua coscienza: la relazione adulterina tra il fratello e la defunta moglie, di cui era al corrente anche la figlia Anna, che faceva addirittura il tifo per lo zio.
L’elemento di interesse di Ultima la luce, tuttavia, è la traiettoria di speranza che si intravede tra le rovine di una vita ordinaria e troppo controllata, spesa da Ivano nell’ombra di una moglie mai del tutto sua, una sconosciuta che resta un enigma anche da morta. Prima di collidere con il fratello Lorenzo, infatti, Ivano sbatte quasi per caso contro Liliana, altra esule dorata ai tropici. Con lei si instaura un rapporto di complicità e tenue attrazione: entrambi scottati, entrambi vinti e ragionevolmente anziani, non rinunciano a schiudersi lentamente l’uno all’altro. Tornato a Milano, l’altra grande sorpresa: la figlia Anna, in crisi con il compagno per via di una gravidanza inaspettata, è tornata a casa. È l’occasione per ritrovare naturalezza nel confrontarsi con lei e per costruire, o almeno provare a farlo, un nuovo inizio.
Sono questi i passaggi in cui Gaia Manzini riesce meglio, anche grazie a una prosa asciutta ed efficace, perfettamente governata a livello ritmico con l’alternanza tra rapidi scossoni di trama e momenti di introspezione: soffocato dalle ambientazioni ultraborghesi di una Milano bene che sta scomparendo – o si sta rideclinando in qualcosa di nuovo – Ivano è un protagonista a più dimensioni, costruito sulla giustapposizione tra la remissività che lo contraddistingue e un’inattesa apertura verso il futuro. Suo correlativo è l’elegante appartamento in centro che ha condiviso con Sofia: quando lei non c’è più, Ivano si sente vincolato per l’eternità alle mura in cui il loro amore ha fatto finta di consumarsi, ma gli bastano pochi mesi per affrancarsi dai ricordi e mettere in vendita la propria casa.
matteo.fontanone@gmail.com
M Fontanone è italianista e critico letterario