Il romanzo inedito
Sul numero di febbraio 2017 L’Indice pubblica un capitolo del romanzo inedito di Francesca Spada, giornalista e intellettuale scomoda, morta suicida nel 1961, alla cui figura Ermanno Rea dedicò il celebre Mistero napoletano.
Riportiamo qui un’introduzione al testo a cura di Edda Melon.
Con Mistero napoletano. Vita e passione di una comunista negli anni della guerra fredda (Einaudi, 1995), il più famoso dei suoi romanzi inchiesta, Ermanno Rea porta al centro della scena la figura di Francesca Spada, intellettuale scomoda, giornalista nella redazione di “L’Unità” negli anni cinquanta. La ferita non rimarginata del suicidio della collega e amica, avvenuto nel 1961, lo spinge, più di trent’anni dopo, a tornare a Napoli, per arricchire la sua documentazione con le testimonianze dei “sopravvissuti”. Nel libro, che Rea definisce anche un “giallo esistenziale”, al presente dell’inchiesta si intrecciano ricordi degli anni passati al giornale, notizie sulla vita di Francesca e pagine del suo diario che la figlia ha affidato allo scrittore. In realtà la soluzione dell’enigma si profila fin da subito come un miraggio. Ma Ermanno Rea centra comunque un obiettivo, quello di tracciare un ritratto preciso e commovente dell’amica scomparsa con, in secondo piano, il gruppo degli intellettuali militanti, controllati dai burocrati di partito, e sullo sfondo la città che, derubata del mare e del suo porto mercantile svenduto alla flotta Nato, fungeva da “grande sentinella dell’Occidente sull’intero Mediterraneo”.
Il silenzio della ragione
Già nel 1953, impossibile non ricordarlo, era stato lo sguardo lucido e disperato di Anna Maria Ortese a parlare di “silenzio della ragione”, in un capitolo di Il mare non bagna Napoli. Di quella pietrificazione della speranza che spingeva molti a lasciare la città, compreso lo stesso Rea che più tardi lascerà il giornalismo e girerà il mondo come fotoreporter, per poi stabilirsi a Milano, a Roma. In quel famoso capitolo, che costò all’autrice rimproveri e rancori, Francesca Spada non è nominata tra i numerosi scrittori, giornalisti e militanti che Ortese aveva incontrato per il suo reportage. È ritratto invece, con pochi tocchi efficaci, il marito di lei, Renzo Lapiccirella, “uno dei più puri marxisti di Napoli”, all’uscita da “L’Unità” in Angiporto Galleria, galassia delle redazioni dei maggiori giornali. Lo stesso accadrà, molto più tardi, nel film di Mario Martone, Morte di un matematico napoletano (1992), che verte sull’ultima settimana di Renato Caccioppoli, il nipote di Bakunin, matematico geniale e comunista eretico, il cui suicidio, nel maggio del 1959, fece profonda impressione. Anche qui, Francesca non appare, nonostante il forte legame di amicizia e di complicità tra lei e Renato, fondato tra l’altro sulla comune passione per la musica. Caccioppoli muore a 55 anni. Due anni dopo Francesca, 45 anni, si toglierà la vita nella sua casa dei Camaldoli, sulle alture di Napoli. Sarà una coincidenza, ma il film di Martone, che precede di poco l’impresa di Rea, sembra aver avuto la funzione di sollevare quel velo di riservatezza messo intorno a tragedie che, sintomo di un malessere collettivo, restavano pur sempre personali.
Francesca Nobili (questo era il cognome anagrafico) arriva a Napoli nel maggio del 1945. Ha quasi trent’anni, è nata nel 1916 a Tripoli dove il padre è sparito in missione. Dopo il 1920 ha vissuto a lungo a Napoli, poi a Roma, a Milano, a La Spezia. Ha due lauree, una formazione musicale e un diploma in pianoforte. È già stata sposata e poi, da una successiva unione, ha avuto due figli che non ha potuto riconoscere a causa del vecchio diritto di famiglia e che le sono stati sottratti dal compagno anche per via delle sue scelte ideologiche. Sono già degli adolescenti quando otterrà di poterli ospitare durante l’estate nella nuova famiglia che intanto si sarà creata con Renzo e con i loro due bambini, un maschio e una femmina. Non è una vita esemplare, agli occhi del partito. Alla diffidenza verso il compagno Lapiccirella, che non rinuncia alla propria autonomia intellettuale, si aggiunge nei confronti di Francesca una misoginia strisciante, quella che Rea denuncia come “l’ossessione maschilista del comunismo napoletano”.
Tenuta ai margini come un’intrusa, a Francesca sarà concesso, riconoscendo il suo impegno tenace, di svolgere attività politica in sezione e di collaborare agli organi di stampa, ma non di venire assunta in pianta stabile. Al quotidiano le viene affidata dapprima la cronaca musicale, cioè il resoconto degli eventi e dei concerti, e solo dopo anni ottiene quel che le sta veramente a cuore, la cronaca giudiziaria e la firma.
Bisogno di giustizia e trasparenza
Nelle pagine di Mistero napoletano, Francesca ci viene incontro bella e disinvolta, attivissima, trascinante, esigente. Problematica, certo, con una forte tensione etica che la spingeva a impegnarsi nella politica e nel lavoro ma anche nei rapporti, nelle amicizie, nell’amore. Il suo bisogno di trasparenza e di giustizia era assoluto. Lottava con coraggio ma le delusioni la abbattevano profondamente.
Dal diario del 3 maggio 1960: «Ricordo Anna Maria Ortese, con quel suo fare ispirato e trasognato, dirmi tanti anni fa (forse il 1948): vuoi fare la giornalista? e la farai, vedrai… tutto si aggiusta (…). Certo la guerra con le sue rovine mi ha intralciato la vita, eppure non me l’ha spezzata. Quando penso a Renzo, che dopo anni burrascosi oggi (…) mi è più vicino che mai, e ai bambini (…) c’è da essere incoraggiati. Tutto si aggiusta. Ma è solo questo che si fa in tempo a ottenere?». Poco prima, Renzo Lapiccirella era stato chiamato a Roma, alla redazione centrale di “L’Unità”, con forte disappunto suo e dei compagni napoletani. Francesca, che aveva deciso di restare a Napoli, trovò qualche difficoltà nel lavoro al giornale, come fanno ben capire, riportate da Rea, le parole di Aldo De Jaco, che aveva preso il posto di Renzo nella redazione napoletana: «Certo era una donna di notevole cultura, ma che si lasciava guidare troppo dal suo temperamento impulsivo… Lei contestava, contestava, ma poi, i suoi articoli?… Vero è che io allora ero un altro, ero uno stalinista che ragionava da stalinista… Aggiungi poi che Francesca era una donna, diciamo così, maculata; nel suo passato c’era stata qualche macchia, almeno così sapevo io… Allora, quando mi disse che stava pensando di raggiungere il marito a Roma, io ne fui francamente contento». Così nell’estate del 1960 Francesca si trasferì per gradi a Roma, ma insistette per tenere ancora, almeno per un po’, la casa dei Camaldoli. A “L’Unità” venne assunta senza problemi, tranne quello di rafforzare in lei la sensazione di essere considerata al traino del marito, alla cui immagine, peraltro, era convinta di avere sempre nuociuto. Meno di un anno dopo, si arrese definitivamente.
Sulla sua morte, così testimonia la cugina Miriam: «Abbiamo suonato insieme Brahms, qui al Parco Grifeo, il giorno in cui si è tolta la vita. Lo raccontai già ad Ermanno Rea, ma voglio rievocarlo ancora una volta. Mi ha affidato i bambini, Piero e Viola, quel tristissimo venerdì santo, ed è andata a casa sua, ai Camaldoli, a morire. Parlavamo spesso della morte, come per abitudine. Quel giorno mi ha anche detto dove voleva essere sepolta, nella nostra tomba di famiglia, ma non ci ho dato peso. Suo marito Renzo Lapiccirella, che era a Roma per il suo lavoro, ha trovato il corpo solo di domenica. Era il giorno di Pasqua» (intervista a Sergio Lambiase, “Corriere del Mezzogiorno”, 11 ottobre 2010). Aveva preparato con molta cura la scenografia della sua morte, affidando l’ultimo messaggio ad una poesia di Rilke – nella traduzione di Giaime Pintor –, quella intitolata ad Alcesti, la moglie che si offre al dio infernale per salvare il marito Admeto.
Ci siete dentro tutti
Tra i tanti misteri indagati da Ermanno Rea ce n’è uno che gli stava molto a cuore e che solo di recente si è potuto sciogliere. Si tratta del romanzo che Francesca stava segretamente scrivendo, e sul quale aveva rilasciato qualche scherzosa anticipazione: «Ci siete dentro tutti, ma proprio tutti (…). Non voglio dire che siete esattamente voi: vi spezzetto e vi ricompongo dopo aver mescolato i frammenti. Frantumo anche me stessa… almeno così credo». Rea parlò a lungo con Renzo Lapiccirella durante la fase preparatoria di Mistero napoletano, ma non ottenne il permesso di consultare il romanzo. «Né Renzo né Viola hanno ritenuto di farmi accedere a quelle pagine il che, sarò sincero, un po’ mi stupisce anche se non me ne lamento nel modo più assoluto. Mi chiedo soltanto perché. Perché tanta cautela e riservatezza dal momento che poi Viola mi ha dato in lettura, con commovente fiducia, addirittura i diari della madre in suo possesso?». Qui Ermanno Rea ricorda male, perché la stessa Viola Lapiccirella, la figlia di Francesca e di Renzo, quando ha ritenuto di affidarci le cartelle dattiloscritte del “romanzo” di sua madre, ha chiarito di esserne venuta in possesso soltanto nel dicembre del 2013.
Ecco le parole di Viola: «Questo romanzo risale agli anni cinquanta del secolo scorso. Nella prima pagina, una frase scritta a mano: ‘Questo scritto è stato concepito e iniziato nel ‘57 a Napoli, concluso a Roma nel primo trimestre del ’61’. Nell’ultima, in calce, la dicitura: ‘Francesca Nobili Spada. Ore 13 del 28 3 1961 (in Latina)’. Tre giorni dopo, il 31 marzo di quello stesso anno, l’autrice, Francesca, si suicidava. Tutti i personaggi (o quasi tutti) di questo libro sono ormai morti. Nel febbraio del 2013, Ermanno Rea, da me interpellato sull’esistenza di un romanzo di cui avevo sentito parlare solo da lui, mi rispose, usando praticamente le stesse parole che aveva usato in Mistero napoletano: ‘All’epoca tua madre mi confidò in più occasioni di star scrivendo un libro, un romanzo, che riguardava un po’ tutti noi. Ci siete tutti dentro, mi disse un giorno non so se in modo più minaccioso o più affettuoso. Poi l’argomento scomparve improvvisamente dai nostri discorsi. Procedo per ipotesi. Ammesso che Francesca non abbia dato alle fiamme il suo manoscritto, esso fu ereditato da Renzo che, giudicandolo imbarazzante per i suoi contenuti, lo nascose da qualche parte. Di sicuro non lo distrusse: attribuire un gesto del genere a un uomo come tuo padre sarebbe a dir poco un’incongruenza. Lo conserva, dunque. Il che vuole dire che nessuno riesce a posarci più gli occhi sopra’. Il testo è arrivato nelle mie mani nel dicembre del 2013. L’ho ritrascritto fedelmente (centocinquanta pagine battute a macchina e con numerosi interventi a penna a margine dei fogli) e ho concluso la trascrizione e impaginazione nel settembre del 2014. Ecco, questa è la storia del romanzo di Francesca. Sul suo valore letterario non saprei dire, su quello storico avrei da dire di più. Ma qui lascio la parola ad altri che abbiano voglia di farlo.”
edda.melon@durasmonamour.it
Il X capitolo del romanzo inedito di Francesca Spada si intitola Il nubrifragio ed è riservato agli abbonati.
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