Questo non è un libro per reduci
recensione di Anna Tonelli
dal numero di maggio 2017
Enzo Traverso
MALINCONIA DI SINISTRA
Una tradizione nascosta
pp. 246, € 25
Feltrinelli, Milano 2016
Chi pensa di leggere un libro nostalgico, a inneggiare al bel tempo che fu o che non c’è mai stato, sbaglia strada. Lo farebbe capire già l’autorevolezza dell’autore, uno dei più attenti e brillanti studiosi della storia culturale e politica dell’Europa contemporanea, ben lontano da ogni possibile strumentalizzazione politica della memoria. Ma a maggior ragione lo si capisce dal contesto in cui è nata la sua riflessione, ovvero un seminario intitolato Left Melancholia tenuto alla Cornell University, davanti a una platea numerosa di studenti. “Con mia grande sorpresa – rivela Traverso – questi giovani si sono mostrati molto interessati a un tema al quale, per ovvie ragioni generazionali, sono estranei”. Un incipit che fa intuire subito che non è un libro per reduci con il fazzoletto rosso al collo. La malinconia alla quale si fa riferimento dunque non è quella espressa da quanti si sentono di aver perso qualcosa e ne conservano il rimpianto, ma una malinconia con solide base nella storia, e soprattutto nella storia di una sinistra composita e multiforme. Una storia che ha radici ben identificabili, nella cultura di sinistra tra Otto e Novecento, sostenuta e interpretata da quei movimenti rivoluzionari che hanno lottato per l’uguaglianza e la giustizia sociale, e cioè per la realizzazione del socialismo. Di questi movimenti però non viene celebrata l’estasi rivoluzionaria e la potente retorica del cambiamento, ma il profilo della sconfitta. A Traverso che ha studiato i riflessi della guerra civile in un libro che è diventato un cult fra gli storici e anche fra gli studenti (A ferro e a fuoco. La guerra civile europea 1914-1945, il Mulino, 2008), interessano i vinti che partecipano al rito collettivo di una battaglia perdente ma che attirano pure lo sguardo messianico di un possibile riscatto. Un sentimento che attraversa figura chiave che vanno da Marx a Trockij passando da Rosa Luxemburg e Jules Vallès, ma che coinvolge anche quelle moltitudini che lasciano poi tracce nelle arti, al cinema, nella letteratura, nella fotografia. Al pari delle dottrine e delle discussioni teoriche, i dipinti, i film, le foto, le tessere si trasformano in quelle che Walter Benjamin chiama le “immagini di pensiero”, fonti indispensabili alla ricostruzione del passato attraverso un approccio interdisciplinare che ha ampiamente conquistato gli studi storici. Il cinema delle rivoluzioni sconfitte che costituisce un capitolo centrale del libro, diventa funzionale a mettere in scena l’eclissi della speranza socialista, annoverando i film di Angelopoulos, Castillo, Guzmán, Loach e Marker (solo per citare i più recenti) come un interessante “ritratto del Novecento con le rivoluzioni naufragate e le utopie sconfitte attraverso i vinti di tutte le battaglie perdute”: fra le pellicole analizzate, spicca a ragione anche l’intensa allegoria della sconfitta di classe raccontata da Luchino Visconti in La terra trema (1948) come uno dei film più forti della narrazione dei perdenti.
La storia delle sconfitte che lascia dietro di sé sentimenti contrastanti trova un ulteriore alimento nel crollo del comunismo che per Traverso non deve essere considerato come un “lutto patologico” che produce la malinconia di una sinistra arroccata all’idea di un sistema inespugnabile, ma semplicemente rivela un sentimento latente che esplode con la consapevolezza che “un’intera rappresentazione del Ventesimo secolo era andata in frantumi”. Più che parlare della fine delle ideologie, l’autore preferisce soffermarsi su quella brevissima fase di trapasso (individuale o collettiva?) che ha visto nella fine del comunismo la speranza di un possibile socialismo democratico. Una speranza delusa, destinata a favorire altre forme di scoramento.
Di rivoluzione in rivoluzione si arriva all’oggi con le cosiddette primavere arabe del 2011, entrate in un vicolo cieco e incapaci di sostituire le dittature o i sistemi autoritari con nuove forme di democrazia stabile. “Tutti i modelli ereditati dal passato (dal nazionalismo al panarabismo, dal socialismo laico al fondamentalismo islamico) avevano fallito – scrive Traverso –. Le contraddizioni di queste rivoluzioni sono inscritte nella nostra epoca. Su di esse pesa la sconfitta delle rivoluzioni del Ventesimo secolo e questo fardello è gravoso”.
Cosa resta allora di questa malinconia di sinistra? Solo la rassegnazione o il recupero di una memoria che già in sé contiene le risposte al cambiamento? Ancora una volta Traverso si fa guidare dal sommo Benjamin che interpreta la malinconia non come sentimento passivo e cinico, ma come “uno sguardo storico e allegorico capace di penetrare la società e la storia, di comprendere le origini della loro tristezza e raccogliere gli oggetti e le immagini di un passato in attesa di redenzione”. Malinconici sì, ma in formato 2.0.
anna.tonelli@uniurb.it
A Tonelli insegna storia contemporanea e dei partiti politici all’Università di Urbino