Addolcire il peso della vita
recensione di Paola Splendore
dal numero di marzo 2017
Cristovão Tezza
LA CADUTA DELLE CONSONANTI INTERVOCALICHE
ed. orig. 2014, trad. dal portoghese di Daniele Petruccioli
pp. 237, € 15
Fazi, Roma 2016
Il giorno in cui l’Università rende omaggio alla sua carriera di studioso, il professore di filologia romanza Heliseu da Motta e Silva si risveglia da un sonno agitato. Tra le sue “angosce mattutine” c’è non solo l’ansia per la cerimonia, l’incertezza su quello che dirà nel suo discorso, ma la percezione fisica del “disastro progressivo” dell’età che incalza, il senso di colpa per un figlio poco amato e il ricordo bruciante delle due donne della sua vita. Tutto questo ribolle nel monologo inarrestabile, lungo quanto tutto il romanzo La caduta delle consonanti intervocaliche di Cristovão Tezza, tra i maggiori scrittori e saggisti brasiliani contemporanei.
La sua narrativa, più di dieci romanzi pubblicati, molto premiata e conosciuta fuori del suo paese, è quasi ignorata in Italia, dove prima di questo era stato tradotto solo Bambino per sempre (traduzione di Maria Baiocchi, Sperling & Kupfer, 2007), in Brasile un bestseller da cui è stato anche tratto un film presentato al Festival di Rio 2016. Nel romanzo, un giovane padre con la vocazione alla scrittura si trova a fare i conti con la rabbia e la disperazione per la nascita di un figlio down. Il figlio “eterno” – nel titolo originale O filho eterno –, quello che non diventerà mai adulto, aiuterà tuttavia suo padre a diventare adulto, a dare un senso alla sua vita, e addirittura a riconciliarlo con la letteratura: “Scrivendo può scoprire qualcosa, ma senza confondere … la vita con lo scritto, entità diverse che devono intrattenere un rapporto rispettoso e non troppo intimo”. Intensa riflessione sulla genesi della scrittura e sulla paternità, fuori da ogni luogo comune e ogni retorica, Bambino per sempre è stato anche in Italia molto apprezzato dalla critica, benché presto caduto nel silenzio, come ha ricordato Franco Cordelli sulla “Lettura” del 31 luglio 2016.
Confessione e autodifesa
Nel nuovo romanzo, rivolgendosi a un pubblico immaginario, in cui entra perfino l’ispettore Maigret, il professore Heliseu tenta il bilancio di una vita, assumendo a tratti il tono della confessione o dell’autodifesa. E come nel monologo di Molly Bloom – c’è più di un’eco di Joyce nel romanzo – nelle ore successive al risveglio la sua mente è invasa da sensazioni e ricordi (amori, colpe, tradimenti) e specialmente dalla memoria fisica ancora vivissima delle due donne che ha amato, l’impiegata di banca Monica, diventata sua moglie, morta volando dal balcone mentre innaffiava i fiori, e la seducente dottoranda franco-brasiliana, Therèse, che Heliseu accompagnerà in varie sessioni erotico-intellettuali e nella scrittura di una tesi sul piano inespresso del discorso parlato, il “non-detto”, elemento caratteristico della lingua brasiliana in cui “l’unico significato certo è l’ambiguità”. Il figlio gay che vive in California con un compagno e una bambina adottata resta sullo sfondo, ma torna come un’ombra a inquietarlo ritenendolo responsabile della morte della madre. Forse i tempi sono maturi perché Heliseu, dopo anni di lontananza, cerchi la riconciliazione sciogliendo così anche il suo stesso difficile rapporto con la figura del padre.
Il romanzo è un abilissimo montaggio di piani temporali, stili, toni, lingue, giochi di parole: la letteratura e la filologia sono il terreno privilegiato in cui Heliseu esercita la memoria e le sue capacità di autoinganno, trovando sempre nella citazione giusta una maniera per stemperare le ansie, allontanare un pensiero molesto, o “addolcire il peso della realtà”, qualcosa tra la valvola di scarico e il perno intorno a cui ruota il senso stesso della sua vita. Uno spazio in cui si raccolgono le voci della letteratura antica brasiliana e di quella europea, intrecciate alla trasformazione linguistica che portò a differenziare i parlanti portoghesi dagli spagnoli, la caduta della consonante intervocalica occorsa intorno all’undicesimo secolo: “Tutto è cominciato quando il dolor ha preso a trasformarsi subdolamente in door e infine in dor: ecco fatto! Un’altra lingua”. Questo spiega il titolo italiano di un romanzo molto più semplicemente intitolato nell’originale O professor, che offre anche una riflessione sul linguaggio, sulla sua verità sempre sospesa e le sue infinite variabili.
Il racconto del professore, lucido arguto ironico, vola alto rispetto alle tragedie vissute, nel privato come nella storia del suo paese, dalle speranze rivoluzionarie dei tempi della dittatura degli anni sessanta al presente della presidente, “alla testa del peggior governo brasiliano degli ultimi trenta anni”. Perché in fondo a che serve arrovellarsi se “il mondo basta a se stesso”? Con un’ironia che non perde mai intensità Tezza mette insieme le esperienze intellettuali di Heliseu con le sue emozioni più profonde, così che nel professore, narcisista e compiaciuto, con il suo fastidioso intercalare eheh e la sua falsa coscienza, finiamo per riconoscere – ed è qui la forza di un romanzo colto e coinvolgente – i tratti dell’uomo comune con le sue fragilità e le sue paure, dell’uomo solo di fronte alla vecchiaia.
splendor@uniroma3.it
P Splendore insegna lingua e letteratura inglese all’Università di Roma Tre