Parliamo di me, non di Riemann
di Gabriele Lolli
dal numero di febbraio 2017
Nonostante il titolo, l’ultimo libro di Chiara Valerio, Storia umana della matematica (pp. 176, € 18, Einaudi, Torino 2016) non è una storia della matematica, se non per qualche notizia aneddotica su alcuni matematici, vedremo quali, e non è un libro di divulgazione. Di che cosa si tratta allora? Forse un romanzo di formazione, o come si capisce procedendo nella lettura, di de-formazione, ma l’impressione più forte è quella di un flusso di coscienza; trascinati senza respiro veniamo a sapere molti particolari anche intimi sulla famiglia dell’autrice, padre, madre, avi, sorelle e fratelli, gatti, di casa e non, una bella famiglia dell’élite progressista emancipata, e sul di lei patrimonio culturale, con una ricca presenza, oltre a libri e film, di cartoni, videogiochi e serie televisive. Potrebbe essere interessante che in mezzo a tutti questi stimoli contribuissero alla Bildung anche fatti matematici o di matematici, ma il contributo scopriremo che è nullo; non lo sarebbe se i richiami fossero istruttivi e pertinenti, e non lo sono, Peano per esempio è evocato (insieme a Gadda) a proposito del gatto che cade sempre in piedi, che ha una spiegazione matematica. L’intenzione del lavoro è evidentemente quella di presentare la persona Chiara Valerio; dopo aver introdotto Bernhard Riemann, bruscamente: «Ma parliamo di me». Qualcuno potrebbe preferire continuare con Riemann. Invece tutto è riferito a Chiara Valerio e alla sua famiglia: se Lev Landau amava Theodore Dreiser, «io invece ho amato moltissimo Milady» dei Tre moschettieri, sovrapposta a Faye Dunaway nel film; se a Landau arriva un messaggio indirizzato solo a Mr. Landau, è «un po’ come quando avevo scritto una lettera d’amore a Marguerite Yourcenar» indirizzandola a Mme Yourcenar-Mount Desert Island; se nella biblioteca di Harvard i libri di Landau sono quattro volte quelli di Feynman «la stessa proporzione è nella libreria di mio padre».
Confessione ambigua e reticente
Per essere una confessione tuttavia è abbastanza reticente, o ambigua. In almeno due occasioni parla del suo innamorarsi di una donna, senza spiegare cosa intenda per innamorarsi. E regalerà a suo nipote un cappottino di leopardo sintetico, perché in famiglia ha imparato che non esistono cose da maschio e cose da femmina. Ma soprattutto non spiega perché ha abbandonato la ricerca matematica: la geometria sì, perché si era innamorata e prevalevano sentimenti di “ventre”, ma la probabilità dopo il dottorato e alcuni lavori con l’esperto di cibernetica di Napoli? La quarta di copertina, di certo approvata dall’autrice, parla di sei matematici veri e di uno falso: a quelli veri sono dedicati i primi sei capitoli, all’autrice l’ultimo; i sette matematici dovrebbero spiegarci «la seduzione della più inafferrabile delle scienze esatte» ma, a parte che si perdono in una marea di nomi, avvenimenti e pettegolezzi, non è detto da chi sola potrebbe farlo cosa abbia di falso il settimo; in un passo si allude a un rifiuto, di lei da parte della disciplina.
Non esiste un indice dei nomi, ma da una stima approssimativa dovrebbero essere più di duecento, tra scrittori, matematici, filosofi, registi, attori, un vero zibaldone, oltre a personaggi di libri e altre produzioni mediatiche, che entrano nel testo con il loro nome come se fosse ovvio che tutti li conoscessero, mentre chi scrive li ha dovuti cercare su internet: Mr. Magoo, Goemon, la spada di Hattori Hanzö, Mork, Mignolo&Prof, Slimer ecc. L’autrice si rivolge evidentemente a un pubblico complice, che sa per esempio chi è la Concita menzionata con approvazione, ma Becky Sharp forse solo dal cinema. Valerio è certamente colta, da giovane ci tiene a far sapere che ha letto Propp, le metafiabe non le fiabe, ha letto Kant, e non solo i classici della letteratura, ma contemporanei come Agamben, Manganelli, Callois, Diego Mainardi, Françoise Asso, Helen DeWitt e altri. I matematici abbondano, altro che sei: Euclide, Archimede, Bessel, Huygens, Gauss, Galileo, Cavalieri, Tartaglia, Cardano, Fermat, Pascal, Newton, Poincaré, Borel, Hadamard, Volterra, Gamow, ne dimentichiamo molti. La stanza del party sembra troppo affollata di comparse veloci e fuggitive, costrette a una promiscuità forzata. Ecco come Lev Landau incontra Kay Scarpetta (investigatrice di Patricia Cornwell): inizia il corso di storia della fisica, la rivoluzione scientifica, Chiara Valerio pensa a Landau vittima di un incidente automobilistico, ricorda che Scarpetta nell’ultimo romanzo ha deciso di comprarsi un suv; se Landau fosse stato su un suv l’incidente non sarebbe stato così grave. Di Virginia Woolf si promette di spiegare in seguito il motivo dei frequenti riferimenti, ma non l’abbiamo trovato. Per poter invitare anche Foster Wallace si parla di tennis, solo per dire che le linee del campo sono parallele.
Nel dedicarsi alla scrittura l’autrice non ha raccolto l’ammonimento della madre, che scrivere è un atto d’impudicizia, oppure invece l’ha raccolto. La presentazione sembra il curriculum di una ragazza che pubblichi un annuncio per trovare marito e mette in mostra tutte le sue molte qualità, di simpatia, cultura, informazione, disinvoltura, spirito, spregiudicatezza. Ma non ha il senso della misura, i pretendenti potrebbero fuggire.
Idee chiare sulla matematica
Per quel che riguarda la matematica, l’autrice ha le idee chiare: ciò di cui parla Euclide non esiste ma la matematica educa all’immaginazione. Come per il latino che serve a ragionare; con l’immaginazione accesa si può immaginare altro. Le informazioni sui sei matematici non sono di aiuto a capire l’importanza dei temi scelti; per esempio i casi della vita dei Bolyai padre e figlio non sono davvero significativi per le geometrie non euclidee, lo sarebbero di più gli argomenti di Flatlandia sul numero di dimensioni, ma l’autrice si limita a lamentare di non poter disegnare oggetti a 4 dimensioni, non sapendo che Dalì lo ha fatto; così di Laplace per il calcolo della probabilità interessa poco che fosse un “voltagabbana” (o “il Becky Sharp della matematica mondiale”), mentre l’argomento si presterebbe a diverse considerazioni; troviamo solo l’inevitabile richiamo al giocatore di Dostoevskij, oltre alla nonna che giocava al lotto. Poi compare Mauro Picone e i calcoli per il tiro dell’artiglieria nella Prima guerra mondiale, forse si vuol ricordare la “lurida matematica” (DeLillo, non citato da Valerio) della guerra?
Landau è presente come fisico importante (e il padre dell’autrice è un fisico, anche se lo vediamo solo sul water a leggere “l’Unità” con i calzoni alle caviglie), che fu quasi per morire dieci anni prima della morte effettiva, salvato dalla cooperazione del mondo scientifico internazionale; non si può dire che i rapporti tra matematica e fisica ne vengano illuminati. Wiener e Turing permettono di parlare delle macchine, dei robot e del regista Zhāng Yìmóu (memorabile per la coreografia dei giochi olimpici, oltre che per Lanterne rosse). Tra Wiener e Turing all’autrice è più simpatico il primo, come a molti intellettuali, perché pacifista, al punto che gli attribuisce un risultato eccezionale, uno scoop veramente da segnalare, perché Wiener avrebbe anticipato i teoremi d’incompletezza di Gödel; se si va a vedere l’indicazione bibliografica, è un articolo sul Sommo Bene. Alcune frasi sono incomprensibili, di quelle che si attribuiscono al traduttore, per esempio l’ossessione mutuata dalla lettura di Dialettica senza dogma di Robert Havemann, di «capire come la difficoltà del linguaggio matematico passasse sui concetti descritti in quel linguaggio». Il povero Francesco Ciafaloni, presente per un’introduzione a un libro di Wiener, diventa Cianfaloni.
Alla fine, lungi dal subire la seduzione della matematica, resta solo nell’ultima riga l’implicita confessione di un immotivato disincanto e abbandono. Le opere di matematica non sono in bibliografia, sono ricordi di vecchie letture su testi che ora giacciono da qualche parte: “«Devo essere stata certa, quando li ho salvati, che li avrei riconosciuti per sempre. Mi sbagliavo». Più gratificante (formativo?) il vortice del mondo multimediale.
gabrielelolli42@gmail.com
G Lolli ha insegnato filosofia della matematica alla scuola Normale di Pisa