di Chiara Bongiovanni
dal numero di marzo 2016
“Il signor J. R. R. Tolkien è al momento la persona che stimo di più al mondo e spero che farà molti altri libri come lo hobbit” mi scrive Youssef, dodici anni, in chiusura di una verifica sul libro che ho dato da leggere per le vacanze. È un commento sincero, anche se un po’ antistorico, ma è un caso raro. Ai ragazzi della scuola media leggere spesso non piace: è faticoso, annoia, è considerata una delle più inutili e vessatorie costrizioni scolastiche. Non insegna a dare il resto in un negozio, non porta soldi e soprattutto non procura piacere, neanche quello un po’ meccanico che deriva dall’applicazione di una regola o da un’espressione ben fatta con tutti i numeri al posto giusto, le parentesi graffe ben disegnate e un risultato tondo tondo. Leggere piace solo ai professori, bizzarri alieni fuori dal tempo da trattare, nel migliore dei casi, con affetto svagato e ironica condiscendenza.
Generazioni di insegnanti di buona volontà hanno tentato di instillare negli studenti se non proprio l’amore per la lettura almeno una minor diffidenza nei confronti della pagina scritta. Nei primi anni novanta brandivano speranzosi il decalogo di Pennac, fautore di uno spontaneismo guidato e un po’ ruffiano degno di sir Baden-Powell per poi rifugiarsi nelle galline volanti, nella scuola spiegata al cane, farsi sedurre dall’erotica della docenza del bel Recalcati in giubbotto di pelle e camicia bianca e infine riconoscersi, sconfitti e combattivi, nei dialoghi dolenti di Giusi Marchetta (Lettori si cresce, Einaudi 2015).
A dispetto degli apologhi e nonostante i dibattiti le insegnanti di lettere della secondaria di primo grado – l’articolo al femminile è quasi d’obbligo – continuano caparbie a propinare libri ai ragazzi. È una di quelle guerre che sembrano perse ma che vale la pena di combattere. Non bisogna credere ai propri allievi, alle proteste, agli sbuffi, alle fronti poggiate sull’avambraccio. I ragazzi sono più permeabili di quanto loro stessi non credano e di ogni testo letto trattengono qualche particella che forse reagirà positivamente a stimoli e seduzioni future. Non esiste un unico metodo d’insegnamento così come non esiste un solo metodo di studio, ogni scuola è un mondo a sé, ogni classe una diversa alchimia. Il livello sociale d’origine è determinante, almeno alle medie. La questione è molto semplice: nelle scuole “bene” i ragazzi leggono a casa, fin da piccoli, su consiglio dei genitori, in quelle “difficili” no. L’insegnante deve sempre tenersi un gradino più su rispetto al livello dei ragazzi. Anche se sarà proprio quel gradino a rendere la lettura difficile, a scatenare le proteste.
Quel gradino è la ragione per cui leggere a scuola è diverso da leggere a casa. Se in casa hanno almeno un Billy di Ikea e hanno già letto Harry Potter e Roald Dahl si può partire senza troppe difficoltà in prima e seconda con qualche semplice classico non italiano – per ragioni squisitamente lessicali – in traduzioni molto recenti: Il richiamo della foresta, Il buio oltre la siepe, Il mastino dei Baskerville, e continuare con qualcosa di più impegnativo come Grandi speranze, Giro di vite, Cime tempestose. Quando in famiglia non arriva neanche un giornale e il libro è un oggetto misterioso ci vuole un pizzico di iniziativa in più per trovare nella produzione recente qualche autore molto scorrevole, sì, ma non troppo rozzo dal punto di vista della scrittura. Ben vengano allora anche i temi sociali come in Ragazzi di camorra di Pina Varriale o Camminare correre volare di Sabrina Rondinelli sul bullismo al femminile, ma anche un qualsiasi giallo di Agatha Christie, sempre semplice e funzionale. In questi casi la lettura integrale e ad alta voce permette di valutare meglio le reazioni e il grado di assorbimento. Per spiegare in classe la differenza tra fabula e intreccio è più semplice usare Assassinio sull’Orient Express che la struttura dell’Odissea e se capiscono gli esempi proposti dall’insegnante vuol dire che hanno seguito la storia. In casi estremi poi, quando la classe nel suo complesso oppone un netto rifiuto alla pagina scritta in tutte le sue forme, bisogna ricordarsi che in guerra, specie in quelle che sembrano perse, tutto è permesso. Sempre tenendosi un gradino più su, però. Se hanno amato il film tratto da Twilight si può cercare qualcosa di Stephen King, non scendere ai Piccoli Brividi. Se vanno matti per i giochi del computer e i reality show Hunger Games, un feuilleton distopico che nasconde buoni sentimenti e spirito di ribellione autentica sotto un velo di sensazionalismo, è perfetto. Neanche troppo malscritto. E può portare a un’esperienza inattesa di coinvolgente lettura condivisa, un gradino piccolo, ma un gradino più su del niente.
Sperare di ottenere entusiasmo preventivo o gratitudine esplicita è illusorio e dannoso. I libri a scuola sono scuola e i ragazzi ne diffidano come del congiuntivo imperfetto o delle equazioni di primo grado. Seguire una storia però, sentire che quei fatti, quei personaggi sono stati scritti proprio con quelle parole per ottenere proprio quelle emozioni apre uno spiraglio di curiosità per la lettura. E attraverso uno spiraglio si possono far passare moltissime cose, anche l’idea, peregrina forse ma non impossibile, di leggersi un libro da soli, senza professori, fuori da scuola.
C Bongiovanni è insegnante
Letture in classe – La biblioteca condivisa dell’Indice
Mettere in comune le esperienze vere, praticate nelle aule, per andare progressivamente a formare una biblioteca scolastica condivisa, confrontando ogni mese le vostre letture di successo, ma anche quelle fallimentari: è lo scopo di questa rubrica che servirà ad arricchire lo scaffale virtuale dedicato ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado.