L’aoristo perduto per sempre
recensione di Rossella Sannino
dal numero di febbraio 2017
Andrea Marcolongo
LA LINGUA GENIALE
Nove ragioni per amare il greco
pp. 155, € 15
Laterza, Roma-Bari 2016
Una giovane donna, appassionata sostenitrice dell’importanza dello studio del greco antico, laureata in lettere classiche. Di se stessa dice d’essere un po’ stramba. Dichiara di avere scritto un libro, un racconto non convenzionale di grammatica greca. Anche la sua vita sembra non convenzionale: a partire dal nome, Andrea, che all’udito italico suona maschile. Le sue riflessioni e le annotazioni sulla lingua greca si articolano in nove capitoli – ciascuno dedicato a una delle ragioni che motivano il titolo del libro – e in esse si susseguono e si rincorrono con riformulazioni entusiaste e creative alcuni appunti su argomenti incontrati nello studio del greco antico al liceo e proseguiti poi all’università.
Senza gli effetti speciali della più accattivante didattica multimediale, un manuale come Grammata contiene “tutto quello che c’è da sapere della grammatica, ma la cui carta, ruvida e semplice, è bellissima”. Andrea Marcolongo sintetizza in libero racconto la descrizione della morfologia della lingua greca antica e lo fa con l’entusiasmo di chi si sia liberata da un incubo: dallo studio della grammatica come prassi asettica e acritica di formule senza senso da memorizzare e ripetere, assegnate senza che sia stato dato di capirne il perché; dalla tortura di docenti assetati di rituali criptati e crudeli, custodi di un sapere bellissimo ma tenacemente celato dalla insensatezza con cui viene da loro proposto.
Trascinata dalla felice irruenza, l’autrice privilegia la narrazione delle proprie scoperte piuttosto che preoccuparsi di appianare la spiegazione, e chiosa con suggestioni a effetto i passaggi più ostici della lingua di Platone, come fa in questo passo dedicato al caso duale: “Coloro che hanno avuto il raro privilegio di amare davvero sapranno sempre distinguere la differenza di intensità e di rispetto che intercorre tra pensare “noi due” e “noi”; ma più non lo sanno dire. Per dirlo, infatti, ci vorrebbe il duale del greco antico”.
A chi si rivolge il libro?
Una certa difformità di tono induce però a chiedersi quale sia il destinatario reale di questo libro e chi ne sia il lettore ideale. L’ignaro di lingua greca non riuscirà a superare pagina 20, stremato dai continui riferimenti a termini o a lunghi passi riportati in lingua. L’adulto che il liceo classico , e quindi lo studio della lingua greca, l’ha frequentato ormai da tempo troverà isolate rievocazioni di cose sentite in tempi lontani, comprese soprattutto le banalità. A proposito della necessaria curiositas come molla dell’apprendimento: “sarà che ho tanto viaggiato e tanto vissuto in posti diversi e lontani e ho imparato che solo chiedendo ragione delle cose si sta al mondo per davvero e non ci si limita ad esserne perenni turisti che passano. Ecco, la mancanza di curiosità che noto negli studenti, dovuta a certi metodi di insegnamento, mi lascia costernata”. L’autrice ha 29 anni. Potrebbe motivare un aspirante studente allo studio del greco? Superato l’indubbio fascino del titolo, non vedo argomenti di per sé sufficienti, se non per il fascino che si genera da ciò che appare oscuro.
E agli insegnanti? Sì, certo, qualche spunto lo offre; un docente che si rispetti è sempre in autoaggiornamento, ne andrebbe di mezzo la sua condizione esistenziale; per questo però l’alto numero di ovvietà, la ripetuta autoreferenzialità, i confusi e sentenziosi atti di protesta nei confronti dello studio di regole fini a se stesse casualmente accostati alla menzione della necessità della fatica e dell’impegno, rendono questa lettura discontinuamente interessante.
Lo storytelling del greco antico
Due capitoli, per la delicatezza disciplinare dell’argomento, meritano attenzione e proprio perché sono temi cari a chiunque la lingua greca la frequenti di mestiere: i capitoli sull’aspetto verbale e sul modo ottativo. Potrebbero definirsi come una riscrittura in forma poetica di quanto si viene a conoscere appena si abbandonano i solchi dei manuali più cari all’editoria scolastica di massa. Si colgono le grida di gioia di una irruente neofita dell’insegnamento: quello privato, che è ben altra cosa della routine nazionalpopolare di chi insegna in classi di pubblico liceo (altre gioie, scoperte, sopravvivenze si sperimentano in questo secondo caso). “L’ottativo greco è la misura perfetta della distanza che intercorre tra la fatica che serve a fare i conti con un desiderio e la forza che occorre per esprimerlo prima di tutto a se stessi (…) L’aoristo ha in sé qualcosa di spettacolare e di struggente: la certezza di averlo perduto per sempre e uno sfocato rimpianto di quel modo di stare. La stranezza della nostalgia delle cose che non si sono vissute e che non si vivranno mai”.
Arrivati a fine lettura si cerca il riepilogo delle nove ragioni: sfumate nel novero di capitoli non numerati, che vanno dall’Introduzione ai Ringraziamenti. Il merito di questa lettura rientra nel coraggio – e nell’allegra sfrontatezza – di trattare un argomento così serioso e delicato come lo studio di una lingua antica in una forma editoriale che unisce e mescola il saggio al pamphlet al diario; la scrittura è facile; inframmezzate ai capitoli vi sono schede con cui si mettono a fuoco alcuni contenuti essenziali, una specie di “memo” su isolate e varie questioni inerenti lo studio del greco antico. Il capitolo sulla bibliografia è rassicurante: nulla che già non si trovi nella biblioteca ideale di un insegnante di liceo classico. In conclusione, il libro di Marcolongo si propone come esempio di come si possa utilizzare la propria esperienza e formazione in lingua e cultura classica in una brillante operazione di marketing editoriale: lo storytelling del greco antico.
R Sannino è insegnante