Luca Mercadante ha ricevuto una menzione speciale della giuria nella XXX edizione del Premio Calvino
Incipit
Feci la visita di leva al distretto militare di Caserta il 27 agosto del 1993. Prima di allora non mi era mai stato somministrato un test psicoattitudinale. Non ero mai stato in fila per ore, nudo, con altri ragazzi nudi. Nessun medico, per verificare la condizione dei testicoli, mi aveva mai chiesto di alzare l’asta indicando con la punta della matita il mio pene. Alla fine del secondo giorno al distretto avevo nelle mani un documento che attestava il mio essere abile di prima e nell’altra un modulo con il quale avrei potuto fare domanda di obiezione di coscienza.
Il primo avrebbe inorgoglito mio padre, il secondo l’avevo preso per non deludere suo fratello gemello, Piero. Voleva che non lo chiamassi zio, ma solo Piero. I gradi familiari erano, secondo lui, solo l’ennesima imposizione della società patriarcale.
“L’affetto non può essere imposto, al massimo va conquistato” diceva “Ma neanche!” si affrettava sempre a rincarare. Non potevo saperlo, ma era destino che non soddisfacessi nessuno dei due, perché proprio in quello stesso momento, Piero Guida scompariva nel nulla. Non avrebbe più avuto occasione di ripetermi: “Obietta. Disobbedisci. Pensa con la tua testa!”.
Dall’altra parte, mio padre, non avrebbe mai più avuto l’arroganza (tipicamente paterna) di sentirsi in diritto di essere orgoglioso per un mio successo. E questo non perché la scomparsa del fratello lo portò a uno stato di consapevolezza superiore, ma solo perché da quel giorno non c’è stato più con la testa.
A dispetto di quello che stabilirono le autorità giudiziarie nelle settimane successive (in realtà non stabilirono niente, erano solo sicure che non c’entrasse la criminalità organizzata) mio padre si convinse che fosse un caso di lupara bianca e che suo fratello Piero fosse vittima della camorra.
Di lì a un mese votò la sua vita a un maldestro impegno sociale, portandosi dietro mia madre, cosa non poco imbarazzante per lei che aveva una cugina sposata a un affiliato, ma i parenti uno mica se li sceglie, no? E comunque non era l’unica in difficoltà a portare avanti quel ruolo: l’imbarazzo per la presa di coscienza legalitaria di mio padre ce lo spartimmo un po’ tutti a casa Guida, persino io, perché da quell’affiliato amico di famiglia, venivo trattato da figlioccio e, fin da bambino, ero stato abituato a chiamarlo in una sola eloquente maniera: zio Nicolino.
Il corpo di Piero Guida riaffiorò quasi un anno dopo. Le condizioni erano abbastanza buone da permettere l’autopsia: calzava ancora un profilattico.
Il fango aveva preservato gli adorati resti dalla totale degradazione e fu possibile risalire alle cause della morte: shock anafilattico. Non era certo il modus operandi preferito dalla camorra, ma l’evidenza dei fatti oramai contava poco per mio padre. A domanda avrebbe risposto che i brutti cattivi camorristi avevano infilato un preservativo sull’uccello del fratello, aspettato che gli si gonfiasse la lingua per poi abbandonarlo in una zona periferica votata alla prostituzione nigeriana, anzi avrebbero provveduto a buttarlo in uno dei melmosi canali secondari dei Regi Lagni non ancora cementificati.
Il fango, simile alle sabbie mobili dei film, doveva essersi subito indurito, sigillando, insieme al cadavere di Piero Guida anche l’ironica verità sulla sua scomparsa. Se ne sarebbe potuto ricavare un calco pompeiano. Ogni parrocchia ne avrebbe posseduta una copia da esporre a memento: Ecco cosa succede ad andare a puttane. Il bello fu che, all’epoca del ritrovamento, mio zio era già diventato, se non un’icona, almeno una piccola stella nel firmamento della lotta all’illegalità e che quindi mio padre non era più solo nella sua battaglia. Ci sono ancora alcuni personaggi (quelli che attualmente gestiscono l’Associazione Piero Guida e gestiscono soprattutto il suo conto corrente) pronti a gridare al complotto per quel referto medico: La macchina del fango messa in moto per gettare il disonore sull’eroe.
Per molto tempo ho pensato con livore a quel giorno al distretto militare. Ero in coda con le altre future matricole dell’esercito italiano desnude, e intanto si decideva il destino della mia famiglia. A ogni passo avanti in quella fila, i piani temporali della mia vita collassavano sotto il mio piede scalzo: non solo quella che il mio animo avrebbe catalogato come la memoria, ma anche il mio modo di vivere il presente, così come le cose che mi aspettavo dal domani.
Non mi capacitavo che fossi stato lì a fare l’idiota per la nazione in un momento tanto cruciale per me e per chi mi stava intorno. Poi ho capito che è sempre così, che in ogni esistenza umana il dramma va sempre a braccetto con la farsa e che a tutti, prima o poi, tocca la parte del clown. Noi della famiglia Guida, giusto per distinguerci, mettemmo su un vero e proprio circo.