Una proposta di impegno culturale e politico
dal numero di luglio/agosto 2017
Questa nota di Franco Rositi non è una lettera al direttore, ma una autentica proposta di impegno culturale e politico. Ed è anche un progetto, sul quale viene sollecitata l’attenzione di una comunità ben più ampia del gruppo dei nostri lettori. La pubblichiamo, aprendo un dibattito che si estende al territorio dell’on line, dove ogni contributo avrà modo di manifestarsi senza limiti di spazio e di tempo. Chi desiderasse partecipare, può scrivere a mimmo.candito@lindice.net.
Caro Mimmo Cándito,
ho sempre apprezzato il fatto che la nostra rivista, pur essendo nata e restando politicamente impegnata (nessuno di noi ha dimenticato l’originario apparentamento con “Il manifesto”), abbia saputo mantenersi discosta, per decenni, dalle polemiche politiche congiunturali. Ancora recentemente, in occasione del referendum sulla riforma costituzionale, vale a dire entro un trauma che ha colpito innanzitutto il centro-sinistra, “L’Indice” ha dato spazio, con discrezione e con serietà, alle ragioni di entrambi gli schieramenti. Oggi tuttavia a me sembra che dovremmo essere meno reticenti sulle questioni più direttamente attinenti a ciò che viene chiamato, in un gergo abbastanza cifrato, “quadro politico”, e che riguarda, in chiaro, l’assetto delle forze organizzate in vista della rappresentanza parlamentare: conflitti tattici e strategici fra queste forze, nonché conflitti interni a ciascuna di esse. Come tanti dicono, la sinistra, in Italia e altrove, è in crisi profonda; con essa in Italia è in crisi anche il centro-sinistra (in qualsivoglia versione si voglia immaginarlo). Ciò accade in concomitanza con una grave perdurante instabilità dei rapporti economici e politici internazionali e, nella nostra Italia, con il simultaneo inasprirsi di molte spaccature più o meno tradizionali (Nord/Sud, élitismo/populismo e plebeismo, industria/finanza, povertà interna/povertà immigrata, burocrazia/illegalismo). Travolte dalla necessità di garantire la sopravvivenza sistemica, rischiano di scomparire sia la sinistra orientata a governare, sia la sinistra che mette in primo piano il dovere dell’opposizione. Mi domando se la situazione non sia questa volta così grave da sollecitare una nostra presa di posizione. Non penso a un manifesto politico, che implicherebbe anche un programma: come piccolo gruppo di intellettuali cresciuto intorno a una rivista che è “di area” ma ha anche tratti accademici, non abbiamo né le credenziali né le capacità per produrlo. Tuttavia, in una società in cui le ambizioni di questo tipo sono certamente eccedenti il fabbisogno, il nostro piccolo gruppo ha il vantaggio di non essere sospettabile per ambizioni di protagonismo politico; ed ha un secondo vantaggio, quello di aver accumulato con i propri studi, e con la continuità di almeno due generazioni di impegno intellettuale, una certa finezza in questioni di moralità politica. Per nessuna parte del ceto politico può darsi per scontata la questione morale. Se alcuni sono per fortuna indenni da attitudini alla mercificazione del proprio potere (piccolo o grande che sia), per tutti si pone il problema di mantenere sotto controllo il proprio sistematico interesse a consolidare la propria carriera politica e a valorizzare quelle distinzioni che permettono e promettono identità e rilevanza sulla scena dell’opinione pubblica. Spero che molti condividano l’idea che un elemento cruciale perché in questa difficile congiuntura possano riorganizzarsi le varie componenti della sinistra italiana, provenienti da dentro e da fuori del PD, e darsi una consistente rappresentanza nel sistema politico, consiste nella capacità di cooperare che oggi hanno le tante formazioni-organizzazioni che sono nate a sinistra del partito di Renzi o che lo avversano dall’interno. Di esse noi comprendiamo le ansie, le incertezze, le istanze specifiche e perfino i rancori. Per esse tuttavia non si può anche non temere qualche deriva identitaria: la preferenza a restare padroni di un piccolo orto piuttosto che a divenire più oscuri partecipanti di un movimento plurale. Quel che occorre non è un cartello di gruppi. Occorre invece la capacità di un consenso convinto e leale su antichi valori e su qualche preciso accordo per un programma realistico. Non si tratta di un obiettivo semplice. Noi vorremmo che tutti fossero oggi consapevoli che un accordo né superficiale né idealistico richiede un grande impegno innanzitutto morale, una generosa libertà anche rispetto alle proprie biografie e alle proprie certezze. Come rivista, potremmo, caro Cándito, dare un contributo in questa direzione? La crisi è tale che perfino una piccola voce come la nostra potrebbe agevolare la convergenza di tante preoccupazioni, di tanti timori.
Franco Rositi