Un popolo di reclusi, condannato all’entusiasmo
recensione di Antonio Bechelloni
dal numero di aprile 2016
Paul Corner
ITALIA FASCISTA
Politica e opinione popolare sotto la dittatura
ed orig. 2012, trad. dall’inglese di Fabio Degli Espositi
pp. 392, € 28
Carocci, Roma 2015
È questa la versione italiana – non solo tradotta, ma aggiornata nell’apparato critico-bibliografico e adattata, grazie a opportuni sfoltimenti e qualche integrazione, al pubblico italiano – di un libro originariamente concepito in inglese (The Fascist Party and Popular Opinion in Mussolini’s Italy, Oxford University Press 2012). L’autore ha qui messo a profitto la sua familiarità con il fascismo italiano – fin da uno studio giovanile sulle sue origini a Ferrara, tuttora autorevole e sovente citato – cui si è aggiunta in epoca più recente una frequentazione, come docente e studioso, della storiografia, soprattutto in lingua inglese, dei regimi totalitari sia di destra sia di sinistra.
L’espressione “opinione popolare”, presente nel sottotitolo, è importante per capire la specificità dell’approccio dell’autore e riflette la confluenza nel volume del suo duplice campo d’interessi. Il lettore tenderebbe piuttosto a far seguire l’aggettivo “pubblica” al sostantivo opinione, tanto che un illustre recensore dell’edizione inglese di questo lavoro in tutta innocenza utilizza indifferentemente i due termini quasi fossero sinonimi. L’autore non fornisce nel libro una giustificazione del sottotitolo, ma la troviamo nell’introduzione a un volume collettaneo da lui curato sui totalitarismi (Il consenso totalitario. Opinione pubblica e opinione popolare sotto fascismo, nazismo e comunismo, Laterza 2012). Dove acquista il senso di una scelta dettata da due simmetrici e opposti rifiuti: quello di una visione edulcorante del fascismo, che dà per scontata l’esistenza di un’opinione pubblica laddove la manifestazione di una pluralità di opinioni nello spazio pubblico è di fatto negata, e quello di una visione dei regimi totalitari comunisti che l’autore definisce “da guerra fredda”, in quanto basata sul presupposto della pura e semplice soppressione da parte dello stato totalitario di qualsiasi manifestazione di sentimenti e/o pensieri da parte di un popolo ormai totalmente passivo.
Riferito a “opinione”, il termine “popolare” in ogni caso sembra a noi altrettanto discutibile, se non ancor più, del termine “pubblica”, con l’aggiunta dell’anacronistico ricorso a un aggettivo che, accoppiato ufficialmente al sostantivo democrazia, ha dato luogo, non solo nel passato, a sinistri ossimori (aggirati nell’originale inglese, dove popular mantiene una distanza dalla denominazione People’s Democracy).
Conformismo coatto
Lo scavo da ricercatore esigente e smaliziato, tuttavia, che sta dietro questo titolo infelice è del più grande interesse e produce un testo che non delude mai il lettore tanto per l’originalità dell’assunto che per la finezza dell’analisi. Paul Corner si misura con acribia con un tema che, dalla metà degli anni settanta, dopo l’uscita del volume della biografia mussoliniana di Renzo De Felice dedicato agli anni del consenso, ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro. Corner non nega l’esistenza di un consenso al regime, ma in primo luogo ne colloca lo zenith intorno al 1929 piuttosto che nella prima metà degli anni trenta contestando così la cronologia defeliciana. Ma è soprattutto nel rivisitare la natura e lo spessore di tale consenso – consenso per difetto, in un certo senso, nella misura in cui il dissenso era sistematicamente e capillarmente represso – che si rivela la fecondità e l’originalità dell’approccio. Lo storico inglese si avvale di una ricerca indiziaria, basata essenzialmente, ma non solo (compaiono anche lettere e diari di gente comune), su fonti fasciste. Ne è stata a torto contestata l’affidabilità proprio per la provenienza politicamente omogenea e in un certo senso ufficiale, trattandosi di note e rapporti di funzionari ai relativi superiori gerarchici. Gli autori appartengono comunque a una tipologia differenziata: fiduciari, federali, prefetti, spie infiltrate negli ambienti più vari, per cui tali fonti si controllano corroborandosi ma anche contraddicendosi a vicenda. Ne emerge quindi il quadro complesso, sfaccettato e del tutto convincente di una sorta di paradossale progressione del conformismo parallela a un calo vertiginoso di adesione e convinzione. Cosa d’altronde della quale gli stessi dirigenti fascisti erano consapevoli, come emerge ad esempio dall’osservazione di Giuseppe Bottai secondo cui l’onnipresenza del partito nella vita degli italiani cresceva di pari passo alla sua impotenza a influenzarne comportamenti e pensieri. Al centro dell’analisi, la parabola del Partito nazionale fascista (che purtroppo non figura, diversamente dall’edizione inglese, nel titolo del volume) dall’ascesa degli anni venti al declino inarrestabile nel corso della guerra, ma già visibile ancor prima del giugno 1940. È questa la tesi forte di Paul Corner sintetizzata in una formula felice: il partito era fallito nella sua missione principale, non riuscendo a far sì “che il conformismo coatto si trasformasse in adesione convinta e spontanea” da parte degli italiani.
antoniobechelloni@wanadoo.fr
A Bechelloni ha insegnato civilisation italienne all’Università di Lille 3