Precoci rovine irlandesi
recensione di Elisabetta d’Erme
dal numero di marzo 2016
Donal Ryan
IL CUORE GIREVOLE
ed. orig. 2012, trad. dall’inglese di Andrea Binelli
pp. 170, € 14
minimum fax, Roma 2015
“Al centro del cancello di ingresso c’era un cuore di ferro rosso che girava nella brezza. Il perno era allentato e pieno di ruggine, tant’è che cigolava e strideva, ma consentiva lo stesso a quel piccolo cuore di girare. Mi ha ricordato le palpitazioni e mentre lo superavo gli ho dato un calcio”. Così una delle voci narranti di questo romanzo d’esordio dello scrittore irlandese Donal Ryan descrive the spinning heart, il cuore banderuola trafitto al cancello d’ingresso del cottage dilapidato del vecchio Frank. Personaggi colti nel pieno della crisi economica seguita al crash finanziario del 2008 e al conseguente crollo del Celtic Tiger, ovvero l’implosione della bolla speculativa immobiliare che aveva portato l’Irlanda a livelli di benessere mai raggiunti prima.
In modi diversi, ognuno dei cuori che pulsano dietro a queste ventuno voci non riesce più a battere regolarmente, troppo grandi le ansie, le delusioni, le sconfitte personali e professionali, troppo angosciosi i ricordi. Palpitazioni, aritmie, sospetti arresti cardiaci, crolli di pressione sanguigna… sintomatologie che ben descrivono gli effetti collaterali sulle loro esistenze. Sono abitanti di un piccolo paese nella campagna irlandese, deturpata dalla speculazione edilizia, dalla proliferazione di centinaia di pacchiane casette a schiera in finto stile post-modern, lasciate incomplete a causa della crisi, o invendute, o abbandonate e ridotte a ghost estates, insediamenti fantasma. Precoci rovine di una modernità avida ed effimera, simbolo della crisi economica e morale che ha colpito l’intero paese. Nel romanzo, una delle protagoniste, Réaltìn, una giovane ragazza madre, si è indebitata fino ai capelli per acquistare la sua casa in un complesso di villette che ora sono tutte vuote eccetto una, occupata da una vecchia pettegola e litigiosa.
Le vicende di Il cuore girevole ruotano attorno a una serie di fallimentari rapporti all’interno di nuclei familiari (spesso disfunzionali), ma narrano anche le concrete conseguenze del fallimento di una impresa edile, che dava lavoro alla maggior parte dei protagonisti. Fuggito all’estero il proprietario, Pokey Burke, i suoi dipendenti infatti, non solo si sono ritrovati senza lavoro e liquidazione, ma hanno scoperto che nessuno ha mai versato i loro contributi previdenziali. Sebbene la struttura del romanzo sia corale e polifonica, il racconto è in realtà incentrato sulla figura di Bobby Mahon, caposquadra della ditta fallita, ed è sua la indimenticabile voce che apre il racconto, la cui forza espressiva non sarà eguagliata da nessuna della altre venti che la seguiranno: “Mio padre vive ancora nella baracca dove sono cresciuto (…) Ogni giorno vado a vedere se è morto e ogni giorno resto deluso. Non ha mai perso l’occasione per deludermi. Mi sorride con il suo sorriso agghiacciante. Lo sa che vengo a vedere se è morto. (…) Ci guardiamo per un po’ e quando non ne sopporto più la puzza me ne vado”.
L’odio di Bobby per il proprio padre ha radici lontane. Frank non è stato solo la causa della sua infanzia infelice, della prematura morte della madre, e di una vita di frustrazioni, ma ha anche incomprensibilmente dissipato una buona eredità, solo per il gusto di far dispetto al proprio padre. L’ostinazione del vecchio Frank non permette ora a Bobby di vendere il terreno rimasto, impedendogli così di superare la crisi causata dalla sua improvvisa disoccupazione. Bobby Mahon non è però l’unico in paese a nutrire fantasie patricide o matricide, perché l’istinto a fare fuori genitori insopportabili, che hanno passato la loro intera esistenza a odiarsi ed a disprezzarsi l’un l’altro, è una delle costanti di questo claustrofobico microcosmo rurale.
La silenziosa disperazione della vita di provincia
I ventuno capitoli potrebbero avere addirittura lo status autonomo di short stories, e certo la scrittura di Donal Ryan appartiene a pieno titolo alla grande tradizione irlandese del racconto breve, da Dubliners di James Joyce alle tante storie di William Trevor. Come avviene in uno dei grandi capolavori del Novecento, Sotto il vulcano di Malcom Lowry, anche qui Ryan utilizza una sequenza di diverse persone narranti per ottenere non solo degli scarti prospettici, ma anche per assicurare la diegesi del romanzo, ovvero – racconto dopo racconto – l’avanzamento della progressione degli eventi. La storia assume subito i risvolti del giallo e il tono delle diverse voci è quello di testimoni, pronti a fornire al lettore dichiarazioni spontanee non solo sulle proprie disastrate esistenze, ma anche su Bobby Mahon e i fatti legati alla morte violenta di Frank.
Si alternano così, tra le altre, dichiarazioni del padre dell’imprenditore fallito, di una prostituta, di cinque ex-compagni di lavoro di Bobby, di sua moglie, della giovane Réaltìn segregata nel ghost estate, di Kate e di suo marito Denis, coppia in crisi che a causa del licenziamento di Denis dalla ditta Dell ha aperto un asilo nido, e di una serie di persone variamente disturbate, da Jason con la faccia tatuata all’ipocondriaco Trevor (che organizzerà il rapimento del bambino di Réaltìn), dal suo amico Lloyd fino a Timmy, lo scemo del villaggio, ma forse poi non tanto. Alla fine però, non sarà Bobby Mahon a regolare i propri conti con Frank, il suo vecchio detestabile padre.
Nato a Tipperary nel 1976, Donal Ryan si è laureato in legge all’Università di Limerick; membro della Church of Ireland, fino al 2014 ha lavorato per il National Employment Rights Authority, per poi dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Oltre a The Spinning Hearth ha pubblicato The Thing about December (2013) ancora sui temi della bolla speculativa immobiliare in Irlanda, e la raccolta di racconti A Slanting of the Sun (2015). Ryan, cresciuto leggendo grandi scrittori americani, come Saul Bellow, Ernest Hemingway e John Steinbeck, a venti anni ha scoperto autori irlandesi quali John McGahern, Patrick McCabe e Roddy Doyle. La sua relativamente breve carriera letteraria è stata coronata fin dall’inizio da una serie di premi prestigiosi. Dopo essere stato rifiutato da quarantasei case editrici (sic), il suo romanzo d’esordio The Spinning Heart ha ottenuto nel 2012 premi quali il Best Irish Newcomer e il Book of the Year, nel 2013 è stato selezionato tra i finalisti del Booker Prize ed ha vinto il Guardian First Book Award, mentre nel 2015 ha assicurato all’Irlanda l’European Union Prize for Literature. Il romanzo viene ora presentato da Minimum Fax con la bella traduzione di Andrea Binelli, che – seppure con alcune scelte azzardate – è riuscito a dare ad ognuna delle ventuno voci narranti di questo romanzo una propria sonorità ed identità.
A Donal Ryan non piace che i suoi romanzi vengano catalogati tra i titoli di quella che in Irlanda è chiamata la “letteratura della recessione”; forse la sua scrittura è più vicina a quel genere “rurale” reso grande da un’artista del racconto breve quale è Claire Keegan (Neri Pozza ha pubblicato le raccolte Nei campi azzurri, 2009 e Dove l’acqua è più profonda, 2010). Infatti come per Keegan, il tema della ricerca di Donal Ryan è la silenziosa disperazione della vita nelle campagne, il provincialismo e la violenza domestica, la poetica delle avversità, ma anche la forza morale di persone integerrime, come la bella figura di Triona, la moglie di Bobby Mahon, la cui testimonianza chiude un libro, Il cuore girevole, difficile da ignorare.
dermowitz@libero.it
E d’Erme è studiosa di letteratura irlandese e tedesca