Trasparenze e crudeltà dall’altro Nord
recensione di Ennio Ranaboldo
dal numero di maggio 2016
Alice Munro
AMICA DELLA MIA GIOVINEZZA
ed. orig. 1990, trad. dall’inglese di Susanna Basso
pp. 310, € 20
Einaudi, Torino 2015
Non occorre azzardare associazioni tra geografia e invenzione, ovvero ascrivere ai personaggi della Munro qualche aspetto di un carattere nazionale, ma è certo che il Canada rurale e provinciale del secondo dopoguerra di cui lei prevalentemente racconta, nella sua desolata e sterminata latitudine, ha echi universali; e tiene il confronto, per ricchezza di trame, varietà di tipi e repertorio emozionale, con altri “territori”, come il New Jersey di Philip Roth, la Pennsylvania di Updike o il Nord Ovest di Carver.
Con una distinzione importante, l’epos: non c’è, in Munro, traccia del “sogno americano”, coltivato o calpestato, nulla della sua violenta deflagrazione o sempre elusiva realizzazione. La scrittrice sembra più interessata a raccontare storie di durata e di caparbietà, che non a dare espressione ai temi classici della costante rigenerazione dalle ceneri e del fallimento individuale, di cui sono invece impregnati molti cicli narrativi di oltre confine.
Quelle di Alice Munro sono storie sfumate, in cui i mutamenti dovuti alle trasformazioni sociali ed economiche scompaginano e usurano le esistenze ma, in qualche modo, generalmente sotto traccia, possono anche redimerle. E dove le relazioni familiari, e i rapporti nelle piccola comunità costiere o rurali, la fuga e poi il ritorno, dopo anni o decenni, a quelle stesse famiglie e comunità, sono al centro di tutto.
Microcosmi vasti come l’esperienza umana
La sua collezione di anime, in questa raccolta matura (pur uscita nell’ottobre del 1990), è ricca e complessa; popolata com’è da madri e figlie a confronto, da una vedova e dalle tracce di un marito scomparso, da un vecchio pastore che, progettando la propria fine, depista il suo gregge con un’improbabile storia di matrimonio alle Hawaii; da una poetessa locale dei primi anni del Novecento, morta in solitudine, da una donna generosa che sopravvive ad una dura famiglia contadina dalla rigida morale religiosa, da coppie che tradiscono e mettono a dura prova il sodalizio coniugale. Un microcosmo vasto come la stessa esperienza umana.
Anche dove si manifestano crudeltà giovanile o inganni, o quando la passione erotica deraglia le vite, o la solitudine, le illusioni incenerite producono smarrimento e dolore, le storie di Alice Munro raramente difettano di empatia, e quasi mai finiscono in tragedia: sempre, invece, il racconto, qualunque i suoi esiti, prende il volo in quel frangente di verità in cui, nella vita dei personaggi, “l’eccitazione iniziale finisce, e comincia il dolore”, ma anche dove affiorano le possibilità di riscatto.
Non c’è mai nulla di bozzettistico, in Munro: sempre, invece, quella inimitabile scrittura, così esatta, quella voce prodigiosamente modulata nei dialoghi e nel sussurro intimo delle coscienze. Un virtuosismo dalla temperata regolarità, e un’acutezza nella caratterizzazione che genera immagini a cui il lettore è costretto a tornare, quasi in stato di febbrile necessità: “Pensa alle sere in cui stava seduta in negozio. Alla luce per strada, al complicato gioco di immagini riflesse nelle vetrine. A quell’estemporanea trasparenza”.
ennioranaboldo@gmail.com
E Ranaboldo è saggista