Niccolò Ammaniti – Anna

La fine del mondo vista dai bambini

recensione di Simona Micali

dal numero di dicembre 2015

Niccolò Ammaniti
ANNA
pp 280, € 19
Einaudi, Torino 2015

“Questo mondo non esiste. È un incubo dal quale non riusciamo a svegliarci”. Sono le parole di uno dei ragazzini che si aggirano nel mondo in cui ci proietta l’ultimo, soprendente romanzo di Ammaniti: un mondo in cui gli adulti non ci sono più, sterminati tutti dalla Rossa, una peste che per sintomi e decorso ci ricorda le tante pesti raccontate da romanzi, film, fumetti e serial TV, ma che a differenza di altre rimane latente sino all’arrivo della pubertà. Ecco che allora il racconto di genere diventa subito qualcos’altro: il mondo dopo la fine del mondo, lo scenario di devastazione e desolazione a cui siamo ormai abituati, che fa subito un po’ déjà-vu, è anche il regno dei ragazzini, il paradiso e l’inferno degli orfani, l’isola che non c’è ma anche l’isola del Signore delle mosche.
E su un’isola siamo, in effetti, visto che il racconto si ambienta in Sicilia circa quattro anni dopo che la peste ha fatto piazza pulita degli adulti, della civiltà e della storia. La fine del mondo Ammaniti ce la racconta da una prospettiva doppiamente eccentrica, profondamente straniante: è un’apocalisse di provincia, della gente comune, che ignora gli eventi frenetici e cruciali che hanno luogo nelle grandi metropoli, nelle stanze dei bottoni o nei laboratori medici (in questo, ci ricorda senz’altro La strada di Cormac McCarthy, ma anche certi film di M. Night Shyamalan); e al tempo stesso un’apocalisse filtrata dallo sguardo straniante dei ragazzini, quello sguardo che Ammaniti sa raccontarci in maniera così efficace e suggestiva. Di una ragazzina, anzi: e questa è invece una novità nei romanzi dello scrittore.

Anna ha tredici anni, o forse già quattordici, giacché i calendari non ci sono più e neppure lei se lo ricorda bene; la sua vita è scandita dalla quotidiana lotta per procurarsi cibo, medicine e pile; per crescere e proteggere il fratellino Astor, che non ricorda quasi nulla del mondo di prima; per conservare il coraggio e la generosità, per restare umana, a dispetto di tutto. Ma Anna non è sola: ad aiutarla e proteggerla ci sono il terribile Coccolone, il pastore maremmano enorme e puzzolente che sembra avere sette vite, e un prezioso “quaderno delle cose importanti” in cui la mamma ammalata ha minuziosamente annotato tutte le istruzioni necessarie per sopravvivere in un mondo ostile e tornato all’era della pietra. Ma soprattutto, a tenere in vita Anna c’è una speranza tenace, incorruttibile, quella speranza che la spinge a lottare anche quando apparentemente non c’è più niente da fare, a inseguire i miraggi di salvezza (come quello della Picciridduna, il mitico adulto che si dice sia l’ultimo sopravvissuto alla Rossa e in grado di salvare i bambini baciandoli; o quello delle altrettanto mitiche Adidas Hamburg, che pare rendano immuni al virus). Come comprenderà lei stessa: “La vita non ci appartiene, ci attraversa. La sua vita era la medesima che spinge uno scarafaggio a zoppicare su due zampe quando è stato calpestato, la stessa che fa fuggire una serpe sotto i colpi della zappa tirandosi dietro le budella. Anna, nella sua inconsapevolezza, intuiva che tutti gli esseri di questo pianeta, dalle lumache alle rondini, uomini compresi, devono vivere. Questo è il nostro compito, questo è stato scritto nella nostra carne”. È per inseguire questa speranza che Anna decide di partire, con il fratellino e il fido Coccolone, di percorrere la Sicilia e poi attraversare lo stretto, per scoprire se nel Continente ci sono ancora gli adulti e se potranno salvarli. Il romanzo è la storia del loro viaggio, costellato di avventure, pericoli, incontri, esperienze toccanti o terribili.

È un road novel, un romanzo di viaggio; ma anche un romanzo di formazione: Anna impara che vivere è lottare, stare sempre in guardia, a volte scappare a gambe levate; impara a non farsi sopraffare, a ottenere ciò che le serve per vivere; ma impara anche a voler bene agli altri, com’è bello e doloroso innamorarsi, com’è difficile prendersi cura di qualcuno. È un romanzo di formazione, ma al rovescio: nel mondo di Ammaniti l’età adulta non è più il traguardo atteso ma quello temuto, e crescere vuol dire prepararsi non alla vita ma alla morte. Il seno che s’ingrossa, i ragazzi che ti trovano desiderabile, sono per Anna altrettanti segni della pubertà in arrivo, e quindi del fatto che si avvicina il momento in cui sul corpo appariranno le macchie rosse che segnalano l’inizio della fine. Il tempo stringe, Anna deve far presto se vuole salvare Astor, se vuole salvarsi.
Niccolò Ammaniti ci regala un personaggio di rara forza, che faremo fatica a dimenticare, e un romanzo trascinante, a tratti ipnotico. Anche grazie a una scrittura matura e quasi perfetta, mai stagnante o affannata, che non cede di un millimetro alle facili tentazioni del patetismo, dell’orrido o dell’effettaccio. Forse non il più adatto dei regali natalizi; ma consigliato vivamente a tutti quelli che detestano lo shopping compulsivo di dicembre, e preferiscono starsene a poltrire sul divano con un bel libro.

simona.micali@unisi.it

S Micali insegna letterature comparate all’Università di Siena