Ricordi palpitanti che soffocano il presente
recensione di Claudia Zunino dal numero di novembre 2015
Annie Ernaux
Gli anni
ed orig. 2008, trad. dal francese di Lorenzo Flabbi
pp. 276, € 16
L’orma, Roma 2015
Gli anni di Annie Ernaux è un libro del 2008, di recente tradotto in Italia dalla casa editrice indipendente L’orma . Non si tratta di un romanzo, né di una raccolta di memorie. Piuttosto di un flusso di reminiscenze che ripercorre la vita dell’autrice dagli anni quaranta fino ai giorni nostri. Di decennio in decennio il Novecento viene attraversato, traguardato e ripensato. La voce narrante evita la prima persona singolare adottando il plurale o l’impersonale, nel tentativo di ingannare il trascorrere del tempo. E questo espediente stilistico dà forma alla narrazione più di quanto non faccia l’intreccio narrativo; una scrittura complessa e allo stesso tempo tersa, che trascina l’esistenza come un feretro inaridito e sprezzato. L’antica immagine della vita come filo che si fa e che si disfa sottende la scrittura dei ricordi, e una domanda esistenziale ben nota trama con insistenza fra le parole: resterà di me qualcosa, in fine, ancora? Tra i ricordi personali e la memoria collettiva viene tracciata la storia di una generazione, quella nata nell’immediato dopoguerra, sospinta dall’orizzonte del progresso, cresciuta durante il boom economico degli anni cinquanta, euforizzata e ideologizzata nel sessantotto, travolta dal “tempo delle cose” del consumismo e infine sopraffatta dal “presente infinito” della nuova era digitale. È una generazione che sente il peso del fallimento. L’autrice ricostruisce, ritrova “una memoria della memoria collettiva in una memoria individuale” per rinvenire una linea di pensiero di cui lasciare traccia. Sono il Novecento, gli anni di ieri, passati, finiti. Recuperati nell’attimo che precede la fine.
Esplorare la coscienza individuale, ricostruirne su carta il percorso esistenziale, le fasi evolutive e le stasi, in una sorta di continua autopsicanalisi letteraria (deviazione novecentesca che mortifica tanta letteratura contemporanea). Annunciare un fallimento personale e generazionale. Deprecare il mondo di ieri, perduto, e denunciare il mondo di oggi, incompreso. Il futuro non esiste, è come posto oltre, cancellato da ogni possibile orizzonte. Incontrare una scrittura (e traduzione) così elegante è un raro evento e la tentazione di plauderla è fortissima; eppure il pensiero critico, sempre ribelle, porta a chiedersi se simili frutti letterari così esplicitamente egotici, seppur raffinati e stilisticamente elevati, abbiano mai fatto letteratura. Un io narrante tanto opprimente e nichilista finisce con il soffocare la pagina. E se la pagina soffoca, lo spirito insorge. Non molti anni fa Marc Augé parlava di ideologia del presente, ovvero dell’incapacità della società attuale di elaborare e superare il passato, nonché dell’impossibilità di immaginarne il futuro. L’esistenza è come atrofizzata, oppressa da un eccesso di immagini, di informazioni e di mezzi ad azione accelerata. Di fronte a un presente divenuto egemonico, “agli occhi dei comuni mortali esso non è più frutto della lenta maturazione del passato, non lascia più trasparire i lineamenti di possibili futuri, ma si impone come un fatto compiuto, schiacciante, il cui improvviso sorgere fa sparire il passato e satura l’immaginazione del futuro” (Che fine ha fatto il futuro?, Elèuthera 2009). Il passato seppur visitato e rivisitato infinite volte frana fra le mani, incompreso e insuperato. Come scrive Daniele Giglioli in un carteggio digitale con Davide Orecchio apparso su “Nazione Indiana” nel giugno 2015, la paura del presente è più forte della paura del futuro, “paura che il presente non ci basti, ci imprigioni in una finzione di realtà che ci sottrae qualcosa che non mi riesce di chiamare altro che ‘la vera vita’. Quella vera vita che viene a torto o a ragione attribuita al passato”. E il futuro si satura impedendo il desiderio.
E forse il libro di Ernaux è proprio il frutto estetico di questo comune tormento. “La memoria non si ferma mai. Appaia i morti ai vivi, gli esseri reali a quelli immaginati, il sogno alla storia”, scrive Ernaux. Gli anni di Ernaux dovrebbe far vacillare anche le sentinelle più assopite. Inconsapevolmente dice molto più del nostro presente culturale ed estetico che, come vorrebbe l’autrice, del nostro passato storico-sociale. Le lacrime che intridono la narrazione rendono palese la difficoltà tutta contemporanea di costruire e immaginare storie disgiunte dal passato storico. L’autore-tipo del nuovo secolo, come paralizzato dalle dichiarazioni apodittiche novecentesche di fine dei tempi, fine della storia e fine delle narrazioni, spesso cerca rifugio proprio sotto quelle macerie. E l’ideologia della memoria che si respira ormai da decenni cauterizza con fare morale lo sguardo retroverso. Gli anni è sintomo di un male contemporaneo che innanzitutto non va sottaciuto, o la personale e catastrofica premonizione di Ernaux si avvererà: “si annienteranno d’un tratto le migliaia di parole che sono servite a nominare le cose, i volti delle persone, le azioni e i sentimenti, che hanno dato un ordine al mondo, che ci hanno fatto palpitare”.
clo.zunino@gmail.com
C Zunino è dottoranda in letterature comparate all’Università di Genova