Cianfrusaglie del passato
recensione di Krystyna Jaworska
dal numero di novembre 2015
Anna Bikont e Joanna Szczęsna
CIANFRUSAGLIE DEL PASSATO
La vita di Wislawa Szymborska
ed orig. 2013, trad. dal polacco di Andrea Ceccherelli
pp. 494, € 28
Adelphi, Milano 2015
“Chiedetelo a Anna Bikont e Joanna Szczęsna: conoscono la mia vita meglio di me”, era solita rispondere con amabile complicità Wisława Szymborska a chi le chiedeva dettagli autobiografici. E in effetti le due giornaliste di Varsavia, collaboratrici del quotidiano “Gazeta Wyborcza”, autrici di diverse monografie di successo su tematiche storiche e letterarie, dimostrano di aver scandagliato accuratamente vari aspetti della vita della poetessa, dopo che nel 1996 le fu conferito il premio Nobel per la letteratura, leggendo quanto scritto da lei e su di lei, intervistando oltre un centinaio di suoi amici e conoscenti e tenendo con lei lunghe conversazioni. Il rapporto quasi empatico allora instaurato ha fatto sì che la loro biografia presenti con brio e senza sbavature, eppure al tempo stesso con discrezione, senza violare l’intimità di cui l’autrice era alquanto gelosa, un ricco caleidoscopio di notizie che la riguardano, accompagnate da citazioni di sue poesie.
I capitoli tematici in cui è suddivisa l’opera diventano anche finestre sulla storia polacca novecentesca, vista da una prospettiva tutt’altro che convenzionale, tramite episodi significativi della vita della protagonista. Il lettore viene così a sapere che la piccola Wisława, proveniente da una famiglia di estrazione nobiliare, frequenta il ginnasio delle suore Orsoline a Cracovia, dove il padre si era trasferito dalla natia regione di Poznań, e conclude il percorso liceale durante la guerra grazie ai corsi di istruzione organizzati in clandestinità dalla Resistenza. In questo periodo scopre che il suo sogno è dedicarsi alla poesia e nel 1945 presenta alcuni suoi componimenti alla redazione della rivista “Walka”, dove però vengono scartati: solo uno viene pubblicato con notevoli tagli e interventi apportati dalla redazione per portarlo a un livello ritenuto accettabile.
Si iscrive all’università, prima a polonistica e poi a sociologia, senza portare a termine gli studi. Nel 1948 sposa un poeta comunista e nel 1950 si iscrive al partito. Si separa dal marito alcuni anni dopo, mantenendo comunque rapporti di grande amicizia. Nel 1953 le viene affidata la sezione di poesia della rivista “Życie Literackie”, dove, alternandosi con un collega, tiene una rubrica per aspiranti scrittori con consigli e pareri sui loro componimenti (chissà quanto trovasse buffo tale ruolo che doveva ricordarle quanto da lei stesso esperito anni prima). Negli anni cinquanta compone poesie in puro stile stalinista che non vorrà più ripubblicare, considerando quale suo vero esordio letterario la raccolta Domande allo Yeti (1957) edita negli anni del disgelo, quando agli scrittori non era più imposta l’adesione ai dettami del realismo socialista. Lascia le file del partito nel 1966 e come conseguenza perde l’incarico di redattrice, le viene però proposto di continuare a collaborare alla rivista con recensioni su novità librarie di vario genere; scrivendole dispiega spiritosamente la sua curiosità onnivora per i più svariati campi dello scibile, ivi comprese opere divulgative, compendi e manuali. Verso la fine degli anni sessanta si lega allo scrittore Kornel Filipowicz e si avvicina gradualmente agli ambienti del dissenso, pur tenendosi per lo più in disparte dalle manifestazioni. Alla storia degli uomini (storia di catene, come ricorda in Le due scimmie di Bruegel) pare preferire la storia naturale: eppure alcune sue poesie politiche avranno enorme successo anche a livello internazionale, grazie anche al modo insolito di porre le questioni.
Mostrare con ironia gli aspetti incomprensibili dell’esistente
Acuta e disincantata osservatrice, la caratterizza una forte predilezione per uno sguardo obliquo, denso di prospettive inusitate. È come se nella sua mente prima si cristallizzasse l’idea da comunicare, attorno a cui poi costruire l’intero componimento, spesso facendo ricorso a metafore, paragoni ed enumerazioni, per serbare in chiusura la chiave del discorso, instaurando in tal modo un sofisticato e sorprendente gioco intellettuale con il lettore. Si può vedere questo procedimento in magistrali componimenti, quali La cipolla, dove l’idea che la perfezione sia sterile, viene preceduta da una sardonica lode dell’eponimo umile ortaggio, la cui forma tautologicamente perfetta si contrappone al contorto ammasso di interiora degli esseri umani. Solo il verso finale ribalta il giudizio: “a noi è negata l’idiozia della perfezione”.
Amante del paradosso, innamorata al contempo della molteplicità e ricchezza del creato, Szymborska utilizza le possibilità insite nel linguaggio per mostrare con sottile ironia gli aspetti incomprensibili dell’esistente. Alcune sue poesie sono microracconti con protagonisti talora singolari, quali un animaletto chiamato tarsio (la cui esistenza pare avesse scoperto semplicemente sfogliando un’enciclopedia) e, anche quando l’io lirico pare coincidere con l’autrice, si tratta di un soggetto alquanto sfuggente, ben lontano da qualsivoglia sentimentalismo.
Sulla sua lirica incidono, oltre che autori della letteratura del suo paese (penso soprattutto a Maria Pawlikowska), la sua natura di lettrice piena di interessi, che cerca nella vita e nel mondo il lato insolito e la sua attenzione per particolari apparentemente secondari, che però potrebbero celare aspetti essenziali. Ogni essere vivente, ogni elemento dell’universo, pare avere pari dignità dal suo punto di vista (si pensi a Compleanno) e in quest’ottica l’uomo non è superiore alle altre creature, sebbene buffamente non riesca a capacitarsi della propria finitudine.
Autocritica e parca nell’uso delle parole, limate e rilimate con cura, nel corso del tempo raggiunge livelli eccelsi nella capacità di sintetizzare mirabilmente pensieri e concetti in versi in apparenza semplici. Complessivamente ha dato alle stampe solo dodici raccolte poetiche, pubblicate talvolta a notevole distanza di anni. Eppure sono questi sottili volumetti a procurarle il Nobel e una quantità enorme di veri appassionati ai suoi versi.
Ben nota in Polonia già a partire dagli anni sessanta, in Italia la sua opera viene introdotta negli anni novanta da Pietro Marchesani e inizialmente pubblicata da Vanni Scheiwiller, grande intenditore di poesia contemporanea e conoscitore della cultura polacca grazie soprattutto alla moglie, la grafica Alina Kulczyńska. Tali edizioni sono però confinate tra una cerchia ristretta di intenditori e solo la pubblicazione delle sue opere, dopo il Nobel, anche da parte di Adelphi garantisce una adeguata distribuzione. Un ruolo importante del successo e delle tirature altissime raggiunte in Italia va ascritto all’eccellente traduzione di Marchesani che ha saputo rendere nella lingua d’arrivo i valori stilistici e semantici dell’originale, offrendo versi che affascinano e restano impressi nella mente. Vi è peraltro una notevole affinità tra i modi di sentire della poetessa e quelli del suo pubblico, cementata dal suo atteggiamento privo di certezze, che pone interrogativi, senza sentenziare risposte (“come vivere, mi scrive qualcuno / a cui intendevo fare / la stessa domanda”, si legge in Scorcio di secolo). In questo senso, come osserva il traduttore, opera “in una prospettiva che è ormai totalmente ‘post-ideologica’, laica”, che ben risponde alla mentalità dei suoi lettori.
Dopo la sua morte Bikont e Szczęsna ripresero la biografia scritta dopo il Nobel, ampliandola con capitoli dedicati agli ultimi anni e scegliendo per titolo un passo di un suo verso. Andrea Ceccherelli (traduttore per Adelphi di alcuni testi del precedente Nobel polacco per la letteratura, Czesław Miłosz), dal canto suo ha integrato, ove opportuno per il lettore italiano, l’apparato di note, la cronologia e la bibliografia. La sua versione è estremamente accurata e scorrevole; dimostra inoltre vero virtuosismo nella resa dei brevi componimenti che notoriamente rasentano l’introducibilità: i limerick. La lettura di tale produzione scherzosa e minore della poetessa, destinata inizialmente solo a una cerchia di amici e conoscenti, ma ampiamente citata dalle autrici della biografia e finora non tradotta in italiano, sarà una lieta sorpresa per gli amanti della sua poesia.
krystyna.jaworska@unito.it
K Jaworska insegna lingua e letteratura polacca all’Università di Torino