È morta la regina del crimine e non se ne è accorto nessuno
di Lina Zecchi
dal numero di luglio/agosto 2015
La scomparsa della scrittrice inglese Ruth Rendell all’inizio di maggio è passata quasi inosservata, se si escludono tristi coccodrilli sui quotidiani nazionali: tutti simili per forma e contenuto, farciti di identiche formule d’agenzia (“La scrittrice britannica Ruth Rendell, conosciuta come la ‘regina del crimine’; “La signora omicidi”; “La letteratura gialla perde un’altra icona”; “Una delle più note autrici inglesi di romanzi thriller e a sfondo psicologico”). Questo distratto elogio funebre sui quotidiani nazionali è solo, come si suol dire, la punta di un iceberg: infatti, molti anni prima della scomparsa di Ruth Rendell da questa vita terrena, la sua opera era sparita dagli scaffali delle librerie italiane, reali o virtuali. Nonostante Fanucci abbia cercato di riproporre molti suoi classici fra il 2000 e il 2010 (l’ultimo pubblicato è Portobello, 2010), oggi tutti i libri di Rendell risultano rigorosamente fuori catalogo e irreperibili. Eppure non è diminuito l’interesse di editori e lettori italiani per la letteratura gialla, mistery, thriller o noir, che da sola occupa interi espositori nel reparto novità di ogni libreria: dal giallo scandinavo al noir mediterraneo, dagli inglesi ai francesi, dai sudamericani agli spagnoli, dagli americani ai cinesi, per non parlare dell’agguerrita armata nostrana, è tutto un rincorrersi di vecchi e nuovi autori di genere.
Indaghiamo questo apparente enigma: letteratura di genere offerta a profusione, ma assenza sugli scaffali di una qualsiasi opera di questa indiscussa regina del crimine. Franco Forte, direttore editoriale del “Giallo Mondadori”, in una recente intervista aveva annunciato l’intenzione di riportare in collana alcuni classici, iniziando proprio con l’uscita a metà maggio di un titolo di Rendell (La crociata dei bambini, ed. orig. 1999, trad. dall’inglese di Giuseppe Settanni, pp. 294, € 4,90, Mondadori, Milano 2015) ancora inedito in Italia. Fra le varie ragioni dell’auspicato successo della sua operazione editoriale, Franco Forte ne privilegiava tre: il vastissimo pubblico che a suo parere frequenta le edicole, la fedeltà di presunti forti lettori che cercano e riconoscono l’ottima qualità del “Giallo Mondadori”, il risparmio (il libro in edicola costa la metà di un tascabile). Eppure (nonostante tutte queste ottime ragioni, senza contare la bizzarra coincidenza fra la scomparsa dell’autrice e l’inattesa ricomparsa di un suo giallo inedito, che diventa così abusivamente una specie di opera testamentaria) nelle edicole locali il libro è rimasto introvabile e ho potuto leggerlo solo in formato digitale.
Le ragioni di questa apparente eclissi sono molte. La prima consiste nel fatto che Rendell non è, e forse non è mai stata, una scrittrice classificabile solo come di genere. Debutta nel 1964 pubblicando From Doon to Death, che viene lo stesso anno proposto ai lettori italiani del “Giallo Mondadori” col titolo Lettere mortali (riedito in varie collane da Mondadori, e poi da Fanucci come Con la morte nel cuore nel 2004). È un libro sottilmente inquietante, scritto in modo elegante e asciutto, feroce e ironico come saranno sempre tutti i migliori della Rendell. Vi appare per la prima volta il bonario ispettore Reginald Wexford, protagonista di una ventina di romanzi che proseguiranno fino al 2013, ambientati nell’immaginaria cittadina di Kingsmarkham nel Sussex. Fino a oltre la metà degli anni ottanta, i gialli della serie Wexford sono rapidamente tradotti e proposti in Italia dal “Giallo Mondadori”: Wexford, assieme al suo attendente Burden, diventa presto una figura popolarissima nell’immaginario dei lettori di polizieschi.
Nonostante il successo del primo libro, Rendell non si limita però a una personale rivisitazione della gloriosa tradizione inglese con investigatore fisso: dopo Lettere mortali con cui s’inaugura la serie di Wexford, nel 1965 scrive altri due polizieschi senza detective (To Fear a Painted Devil e Vanity Dies Hard), prontamente pubblicati nel “Giallo Mondadori” col titolo Vespe e veleni e Il tarlo del sospetto. Entrambi sono gialli che definirei di ansia e stupore, dove la normalità e la felicità apparenti nascondono oscuri, silenziosi abissi della mente. L’alternanza fra la serie con l’ispettore Wexford e altri romanzi difficili da inquadrare (mystery? giallo psicologico? thriller?), che a partire dalla metà degli anni settanta ottengono spesso prestigiosi riconoscimenti internazionali, produce nel 1986 la scelta di pubblicare libri ancora meno classificabili come letteratura di genere, sotto un altro pseudonimo, quello di Barbara Vine. Il primo è A Dark-Adapted Eye (Occhi nel buio, Longanesi 1990) che ottiene nel 1987 il prestigioso premio Edgar. In tutti i libri migliori di Rendell emerge una costante: il confine fra normalità e crimine è vago, lo slittamento verso il delitto è impercettibile, la violenza del conflitto inevitabile, la spiegazione finale insufficiente a placare ansia e suspense che si accumulano e paralizzano lettori e vittime. Nei suoi capolavori (solo per citarne uno: La morte non sa leggere, nell’originale A Judgement in Stone, 1977) l’opacità della mente assassina è lo specchio scuro attraverso cui il lettore ipnotizzato vede avvicinarsi l’assurda strage finale.
Anche La crociata dei bambini (in originale Harm done), nonostante la pacata presenza di Wexford, solo superficialmente può ridursi a un giallo d’investigazione: le trame e le sottotrame sembrano infatti moltiplicarsi in modo capriccioso per tutta la prima metà del libro, in cui il racconto si focalizza ora sulla strana sparizione e l’ancora più strana riapparizione di due ragazzine, ora sui disordini di un quartiere popolare in rivolta contro un anziano pedofilo che, finita di scontare la sua condanna, è tornato a casa. A poco a poco prende corpo un’altra sottotrama, che diventa il filo rosso della seconda parte: violenza e abusi in famiglia, uomini che segretamente odiano le donne e le torturano, figli male amati. Come se il tranquillo paesino di Kingsmarkham si stesse sgretolando sotto la spinta irresistibile di una rabbia segreta e secernesse assurde patologie di comportamento, che negli ultimi quattro capitoli producono ben quattro stupefacenti soluzioni dello stesso delitto. A ben vedere, anzi, l’unico enigma davvero risolto da Wexford è quello della misteriosa perdita del suo vecchio e amato impermeabile.
L’enigma di partenza, ossia: perché Rendell in Italia resta un autore di nicchia, o addirittura introvabile, non ha soluzione. Tanto per fare un esempio, in Francia e in Spagna circola sempre ed è amatissima da registi cinematografici, come dimostrano Chabrol (Il buio della mente, 1995; La damigella d’onore, 2004), Almodovar (Carne tremula, 1997) e il recente Ozon (Una nuova amica, 2014).
Rendell distilla pura ansia ricorrendo a mezzi stilistici minimalisti. Crea suspense, cioè sospensione del tempo, fascinazione, aderendo senza giudicare al meccanismo di paure inconfessate, di attese e di non detto che muovono tutti i personaggi, poliziotti, criminali e vittime. Nessun Holmes né Poirot né Maigret, nessun detective geniale o poliziotto rassicurante perché sicuro della soluzione; niente misteri a orologeria, nessun complotto internazionale; niente sangue a fiotti o serial killer paranoici, nessuna logica ferrea né ingegnose spiegazioni finali arrivano a sciogliere completamente la strana tensione che si accumula nei libri migliori di Lady Ruth. Spesso non c’è neppure mistero in senso stretto: l’assassino è già rivelato fin dall’inizio, eppure l’inquietudine del lettore non fa che aumentare col procedere apparentemente tranquillo del racconto.
lzecchi@unive.it
L Zecchi insegna storia della cultura francese all’Università di Venezia