Come si scriveva di rock
recensione di Franco Fabbri
dal numero di febbraio 2015
Lillian Roxon
ROCK ENCYCLOPEDIA & ALTRI SCRITTI
ed orig. 1969, trad. dall’inglese di Tiziana Lo Porto, prefaz. di Robert Milliken
pp. 408, € 16
minimum fax, Roma 2014
“Il fatto è che suonavano da Beatles più di quanto i Beatles avessero mai fatto e che scrivevano canzoni notevolmente migliori di quelle scritte dai Beatles all’inizio della loro carriera (…). A parte i Beatles, nessun gruppo come i (…) ha visto tante delle proprie canzoni venire registrate con successo da altrettante celebrità”. Di chi si sta parlando? Chi sono i protagonisti di quello che, nello stesso testo, viene definito “il concerto più spettacolare della storia del rock”?
Sono i Bee Gees. E sono sicuro che molti, leggendo, avranno strabuzzato gli occhi, così come da anni li vedo strabuzzare ai miei studenti dei corsi di popular music all’università o al conservatorio, loro che (se mai hanno sentito nominare i Bee Gees) li associano infallibilmente alla Febbre del sabato sera e alla disco music. Ma è proprio così: i primi “eredi” dei Beatles (primi di una lunga serie) furono proprio i Bee Gees, già nel 1967, con le loro canzoni che sembravano riprendere il filo dei Beatles “facili” durati fino (grosso modo) al 1965.
C’è una storia della popular music che si è consolidata nel senso comune, alimentata dalle ricostruzioni retrospettive dei critici e dei dj, autoconfermata dalle riedizioni discografiche (utilissime, ma dettate più da ragioni contrattuali che da scrupoli filologici), canonizzata nelle enciclopedie, nei siti web e nelle voci di Wikipedia. E c’è una storia che i ricercatori tentano di ricostruire a partire dalle fonti originali, fidandosi poco dei canoni attuali, andando a cercare (come fanno gli storici “veri”) le tracce del senso comune e della vita materiale dell’epoca in cui si svolgevano i fatti. Molti materiali utilissimi per queste ricerche sono in corso di sparizione: per esempio, nelle emeroteche italiane le riviste musicali giovanili non sono mai entrate, e quelle che c’erano vengono mandate progressivamente al macero. Dove si potrebbe leggere che i Bee Gees erano i primi eredi dei Beatles? O che il progressive rock tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta non si chiamava così, ma soltanto “musica pop”? Su qualche numero di “Ciao amici”, “Ciao 2001”, “Giovani”. Chi studia queste cose ne va a caccia sulle bancarelle.
Per questo non ci si può che compiacere della ripubblicazione, anche in italiano, della Rock Encyclopedia di Lilian Roxon, uscita nel 1969 (in coincidenza col festival di Woodstock). L’autrice, critica rock onnipresente sulla scena newyorkese dalla fine degli anni cinquanta, morì nel 1973 a quarantun anni (era nata a Savona nel 1932, da una famiglia di ebrei polacchi trasferitisi ad Alassio; con le leggi razziali emigrò in Australia, e da lì nel 1959 passò a New York): così la sua Encyclopedia è rimasta congelata all’anno della prima pubblicazione, senza aggiornamenti né revisioni. Fu riedita in paperback nel 1971 (come testimonia l’introduzione, presente anche nel volume in italiano), ma gran parte delle voci fotografa il mondo del rock nei mesi della prima stesura, a partire dal maggio 1968.
Perché un lettore di oggi, anche un appassionato di rock, dovrebbe interessarsi a un’enciclopedia dove, alla voce The Band, trova un riferimento solo alla nascita del gruppo e al primo album, senza nemmeno un accenno al secondo (il loro più famoso, pubblicato circa un mese dopo l’uscita del libro)? Dove tra i componenti degli Animals (quelli attuali allora) compare un certo Andy Somers, che poi avrebbe cambiato il cognome in Summers, diventando quasi dieci anni dopo uno dei Police (ma ovviamente nell’Encyclopedia non se ne trova il minimo accenno)? Proprio per questo: perché è il documento di un’epoca, e in quanto tale non ci presenta la storia del rock a posteriori, non cerca di spiegarci il passato come una premessa del futuro, non deve inventare quei fastidiosissimi pre- e proto- (il pre-progressive, la pre-disco, i proto-cantautori) che infarciscono tante storie del rock e della canzone dilettantesche, rivelando la debolezza e l’incapacità dei loro autori di navigare davvero dentro alla storia, e di comprendere il fascino di ciò che forse sta prefigurando qualcosa, ma “non lo sa”. E poi, per nostra grande fortuna, quella era un’epoca in cui la critica rock stava emergendo, gli strumenti concettuali si stavano affinando, ma i concetti-passepartout come “autenticità” erano ancora lontani nel futuro.
Rispetto ai contenuti, è scontato che il punto di vista sia nordamericano e in particolare newyorkese: questo, nella prospettiva che ho suggerito, è tutt’altro che un limite. Compaiono artisti in seguito ignorati, come il New York Rock And Roll Ensemble (“Sono in grado di eseguire una sonata per oboe e violoncello sotto un ritornello rock”: ma il progressive non era solo inglese o europeo?). E la voce sui Led Zeppelin è la seguente: “Led Zeppelin è il nuovo nome di ciò che è rimasto degli Yardbirds (di fatto Jimmy Page) dopo che nel 1968 hanno chiuso bottega. Suonano blues pesante con una grossa dose di improvvisazione”. Sublime.
www.francofabbri.net
F Fabbri insegna popular music all’Università di Torino