Il potere della noia
recensione di Martino Gozzi
dal numero di aprile 2013
Jonathan Franzen
PIÙ LONTANO ANCORA
ed. orig. 2012, trad. dall’inglese di Silvia Pareschi
pp. 300, € 22
Einaudi, Torino 2012
Nelle interviste apparse sui quotidiani, così come nelle rare comparse televisive, Jonathan Franzen ha dimostrato di possedere, oltre a uno sguardo lucidamente critico sui fenomeni contemporanei, un carattere molto spigoloso. Per certi versi, questo ha giocato a suo favore. Suo malgrado, Franzen è divenuto un personaggio, l’intellettuale liberal di successo, intransigente e ostinato, in una stagione editoriale dominata, un po’ ovunque, dall’egemonia dei personaggi. Allo stesso tempo, la sua presunta antipatia ha finito per offuscare la serietà e il rigore con cui, da sempre, si è accostato alla scrittura.
A differenza di tanti personaggi che nell’ultimo decennio hanno invaso le librerie, Franzen ha infatti dato prova di essere non solo schietto, ma anche paziente. Il suo primo romanzo, La ventisettesima città, è uscito nel 1988. Il secondo, Forte movimento, quattro anni dopo. Le correzioni, il suo bestseller planetario, solo nel 2001. Prima di pubblicare il suo quarto romanzo, Libertà, Franzen ha aspettato altri nove anni, infischiandosene dei ritmi sempre più rapidi con cui nuovi nomi emergevano e ricadevano nell’oblio. (Nello stesso periodo, e cioè due lustri, Fabio Volo ha sfornato sei titoli. Luciana Littizzetto sette). Lo stesso rigore che Franzen applica alla narrativa (i suoi romanzi superano tutti le cinquecento pagine, e hanno l’ambizione di raccontare il presente attraverso una rete di personaggi tra loro legati, un’impostazione che richiama tanto DeLillo quanto Dickens) si ritrova nei suoi saggi.
Fin dai primi anni novanta, Franzen ha scritto per “The New Yorker” e “Harper’s” recensioni di libri, reportage dall’estero, inchieste sui temi più disparati – dal collasso del sistema postale di Chicago allo sterminio degli uccelli canori nel Mediterraneo – nonché brevi pezzi di costume, tutti accomunati dall’estrema precisione della sua scrittura e del suo ragionare. Non c’è dunque da stupirsi se i suoi editori gli hanno chiesto, tra un romanzo e l’altro, di raccogliere questi interventi in volume. Il filo conduttore di Come stare soli, proposto in Italia nel 2003, era il ruolo della narrativa “seria” nell’odierno dilagare di immagini televisive e digitali. Zona disagio, uscito tre anni più tardi, era invece il racconto personale, a tratti spietatamente ironico, a tratti commovente, del difficile rapporto con la propria famiglia, e in particolare con la madre. I brani che compongono Più lontano ancora (tradotti, con la solita maestria, da Silvia Pareschi) sono più eterogenei, per lunghezza e contenuto. Accanto a spassosi sketch autobiografici troviamo, per esempio, un discorso d’occasione tenuto a una cerimonia di consegna delle lauree; accanto a un appassionato saggio su Frank Wedekind, un’intervista impossibile allo Stato di New York; accanto all’orazione funebre per Foster Wallace, un lungo reportage sull’inquinamento in Cina, e così via.
Ciononostante, anche in questa raccolta è possibile scorgere un’immagine complessa, e tutto sommato coerente, del presente. In trasparenza si intravede all’opera un’intelligenza raffinata, sempre attenta a registrare le minime oscillazioni di senso nel panorama del quotidiano. Perché gli americani urlano I love you! al telefono, anche quando sono circondati da altre persone? Perché noi tutti passiamo intere giornate a leggere i feed dei social network senza che nulla ci resti impresso nella memoria? Perché David Foster Wallace è stato trasformato, dopo la morte, in una sorta di Kurt Cobain con l’aureola? Di volta in volta, Franzen trova risposte che sono convincenti anche se controintuitive, brillanti anche se articolate: risposte che lasciano poco spazio all’indulgenza verso se stessi. La sua ricerca non si esaurisce nella descrizione puntigliosa di un evento, ma si accanisce su di esso fino a scomporlo in una sequenza di gesti comprensibili, e riconducibili, in ultima analisi, alle fondamenta stesse della vita sociale.
È esemplare, in questo senso, il saggio che dà il titolo alla raccolta. Masafuera, ovvero “più lontana”, è il nome dell’isola che aveva ospitato, per quattro anni, il naufrago Alexander Selkirk, il marinaio scozzese che fornì a Daniel Defoe lo spunto per il suo Robinson Crusoe. Franzen racconta di essere arrivato sull’isola, munito soltanto di Gps e del primo romanzo inglese moderno, per spargere le ceneri dell’amico David nell’Oceano Pacifico. Ma l’improvvisa solitudine e la morte recente del collega lo portano a riflettere sul potere della noia, sul suo legame a doppio taglio con le dipendenze, e sul carattere insulare delle nostre frenetiche esistenze. “Possiamo difendere il nostro io finché vogliamo – scrive, – ma basta una sola impronta di un’altra persona in carne e ossa per ricordarci i rischi eternamente interessanti delle relazioni autentiche”.
martino.gozzi@hotmail.com
M Gozzi è scrittore e traduttore