Il razzismo spiegato a un figlio, e a coloro che si credono bianchi
recensione di Anna Scacchi
dal numero di ottobre 2016
Ta-Nehisi Coates
TRA ME E IL MONDO
ed. orig. 2015, trad. dall’inglese di Chiara Stangalino
pp. 207, € 16
Codice, Torino 2016
Figlio di un ex militante delle Pantere nere, fondatore di una piccola casa editrice indipendente e bibliotecario, e di una insegnante che lo hanno incoraggiato a una visione atea dell’esistenza e scettica nei confronti dei miti americani, Ta-Nehisi Coates racconta in Tra me e il mondo la sua graduale acquisizione di consapevolezza delle radici storiche del razzismo antinero e della specifica forma che esso ha assunto negli Stati Uniti, basata sulla privazione dei soggetti afroamericani del controllo del proprio corpo. Collaboratore della rivista «The Atlantic», su cui ha pubblicato articoli critici nei confronti di Obama e in sostegno della richiesta di riparazioni per i discendenti degli schiavi, Coates appartiene alla generazione nata dopo la fine del Movimento per i diritti civili, quella che ne ha visti i successi – l’arrivo di alcuni afroamericani a posizioni di potere politico ed economico – ma anche il sostanziale fallimento del sogno di integrazione del reverendo King. Tra me e il mondo, che tale fallimento denuncia, ha ricevuto giudizi entusiastici da voci autorevoli quali Toni Morrison, la quale ha riconosciuto in Coates l’erede di James Baldwin, ma anche critiche per una visione della condizione dei neri americani che non sembra offrire alcuna speranza consolatoria.
Difficile assegnare quest’opera a una precisa categoria letteraria. Scritta in forma di lettera al figlio adolescente, Tra me e il mondo (il cui titolo è la citazione di una poesia di Richard Wright dove a separare l’io dal mondo è la scena di un linciaggio con i resti carbonizzati di un corpo nero) è la risposta amara di un padre alle domande non formulate di un ragazzo che ha visto uccidere uomini e donne afroamericani disarmati ed è stato costretto a perdere l’inconsapevolezza della propria condizione di spossessamento: «Così ora sai, se non l’avevi già capito prima», scrive Coates al figlio senza mediazioni, «che alla polizia del tuo paese è stata conferita l’autorità di distruggere il tuo corpo».
La responsabilità di un padre
Come ha ricordato più volte l’autore, la lettera al figlio è un topos letterario (nel caso specifico il modello è la lettera scritta da James Baldwin al nipote nel 1962, centenario della dichiarazione di emancipazione degli schiavi negli stati secessionisti di Abraham Lincoln, che venne inclusa l’anno successivo in La prossima volta il fuoco), e dunque Tra me e il mondo a volte abbandona la finzione del colloquio con un quindicenne diventando anche memoir, analisi del ruolo della categoria di razza nella storia e cultura statunitense, appassionata denuncia del razzismo nella società americana e riflessione sulla condizione di spossessamento di sé degli americani neri.
Ma, soprattutto, Tra me e il mondo è l’assunzione di responsabilità da parte di un padre che rifiuta di edulcorare la realtà della precarietà del corpo nero, ma allo stesso tempo vuole offrire al figlio strumenti per comprendere e lottare contro lo spossessamento di sé. Davanti alla sua disperazione per l’assoluzione di Darren Wilson, il poliziotto che ha ucciso Michael Brown a Ferguson nel 2014, Coates non offre parole di speranza nel futuro o la consolazione del passato glorioso delle lotte degli anni sessanta, ma un vademecum alla sopravvivenza in un paese che «si è esercitato fin dall’infanzia alla depredazione della vita dei neri». Lo fa raccontando al figlio come la scoperta della vulnerabilità del corpo nero ha inciso sulla sua identità di maschio afroamericano, ricapitolando le fasi che lo hanno portato, come altri uomini della sua generazione, dalla percezione della blackness come prigione, alla glorificazione afrocentrica del corpo nero, alla consapevolezza che la pelle nera non è in sé un segno identitario trasparente: «Non c’era niente di sacro o di particolare nella mia pelle; ero nero a causa della storia e della mia eredità».
Coates racconta dell’infanzia nel ghetto nero di Baltimora, dove ha precocemente imparato i codici di comportamento per mantenersi vivo, e di come la perdita del controllo sul corpo generi paura e violenza. Ricorda la disillusione nei confronti della scuola e il risentimento verso la celebrazione del movimento non violento per i diritti civili durante il Black History Month, la fascinazione per l’opposizione dura delle Black Panthers, di Malcolm X e del nazionalismo nero, la scoperta all’università Howard che la blackness «non era solo il negativo di quello della gente che si crede bianca». Racconta il graduale passaggio dall’essenzialismo a una nozione politica, storica e culturale dell’identità nera che fa i conti con le innumerevoli sfumature di colore causate dalla regola per la quale fino a pochi decenni fa erano legalmente neri anche individui dalla pelle bianca. E quindi la realizzazione che l’apparente omogeneità del mondo nero è in realtà attraversata da variabili – di genere, classe, preferenza sessuale, generazione – che interagiscono con l’esperienza vissuta del corpo nero. Nerezza e bianchezza sono finzioni, scrive, e tuttavia sapevo che «noi eravamo qualcosa, eravamo una tribù: da una parte inventata, dall’altra non per questo meno reale». La storia di Prince Jones, brillante studente di Howard ucciso da un poliziotto nel 2000, incarna l’estrema vulnerabilità del corpo nero: non basta essere belli, eleganti, intelligenti, «a posto» per proteggere la propria esistenza, a morire per mano di poliziotti vittime del Sogno non sono soltanto i neri del ghetto. Ma è anche la fonte inaspettata di una visione meno disperata, nella figura della madre di Prince che l’autore incontra nella parte finale del testo, che si conclude con l’esortazione al figlio a lottare.
Come osservatori a distanza
Scelta di traduzione non ovvia, quella di Codice, perché se Tra me e il mondo negli Stati Uniti ha suscitato uno dei più accesi dibattiti degli ultimi anni, in Italia la vulnerabilità del corpo nero continua a essere considerata una questione che non ci riguarda direttamente. Ci interessiamo come osservatori a distanza della recrudescenza di violenza razzista che ha segnato la presidenza Obama, mentre continuiamo a interpretare gli atti di razzismo nel nostro paese come episodi di intolleranza senza radici nel passato. Il razzismo, cioè, viene presentato come un fenomeno nuovo causato dalle immigrazioni, nonostante la crescente disponibilità di volumi in cui la questione razziale italiana viene investigata non soltanto dal punto di vista della nostra storia coloniale, ma anche da quello del legato simbolico che esso ha lasciato agli italiani «che si credono bianchi» (per citare un’efficace definizione che Coates riprende da James Baldwin).
Non era scontato, dunque, che un testo che mette in discussione la narrazione progressista della storia degli afroamericani, culminata nell’elezione di un presidente nero, e compie una spietata analisi del fondamento razziale dei miti americani, e occidentali, a noi più cari (democrazia, popolo, libertà, progresso), fosse tradotto in un mercato editoriale che, a parte poche eccezioni, non ha mai mostrato un grande interesse per l’America nera. Ma la riflessione di Coates sulla centralità della nozione di razza nel mondo contemporaneo e sui modi in cui essa ha costituito il fondamento della cultura occidentale e della costruzione identitaria di bianchi e neri (dove neri è una categoria che comprende tutti quelli che non godono del privilegio della bianchezza) è invece di estrema importanza per un paese come l’Italia, il cui approccio al razzismo è ancora basato sul presupposto che esso derivi dall’ignoranza e dove si continua a ignorare lo stretto legame tra schiavitù, colonialismo e modernità capitalista, così come quello tra il discorso illuminista dei diritti umani e il razzismo scientifico.
ascacchi@alfanet.it
A Scacchi insegna letteratura angloamericana all’Università di Padova
Proteggere il corpo: per il nostro Speciale Estate 2016 anche lo scrittore Giuseppe Imbrogno ha recensito Tra me e il mondo.