La letteratura non fa processi
recensione di Simone Cattaneo
dal numero di dicembre 2015
Javier Cercas
L’IMPOSTORE
ed. orig. 2014, trad. dallo spagnolo di Bruno Arpaia
pp. 416, € 20
Guanda, Parma 2015
Javier Cercas è senza dubbio uno degli autori spagnoli più noti in Italia, eppure la maggior parte delle sue opere si concentra su temi e individui profondamente vincolati alla storia recente della Spagna. Al centro dell’Impostore vi è la figura reale di Enric Marco, un catalano novantaquattrenne, considerato un eroe, sino a che, nel 2005, lo storico Benito Bermejo non ha smascherato la più grande delle sue menzogne: Marco, a quell’epoca presidente dell’Amical de Mauthausen (l’associazione dei sopravvissuti all’Olocausto), non era mai stato deportato in nessun campo di concentramento e tantomeno in quello di Flossenbürg, dove aveva sempre sostenuto di essere stato prigioniero. La rivelazione produce un notevole clamore mediatico. Cercas è affascinato dall’abisso aperto dalla caduta di quel primo velo e nell’arco di quasi dieci anni continua ad accumulare informazioni nel tentativo di comprendere chi sia Marco e cosa l’abbia spinto a mentire. La possibilità di incontrarlo e di dialogare con lui è un passo decisivo che, dopo la ripulsa iniziale, scioglie le riserve dello scrittore e fa convergere spontaneamente in un unico testo gli strumenti narrativi affinati da Cercas: la ricerca storica, l’autofinzione e la metafinzione, utilizzate per intrecciare riflessioni letterarie o di stampo saggistico. Alle interviste con il protagonista e a una meticolosa indagine documentale si deve la parte più convincente del volume, dedicata alla ricostruzione della vera biografia dell’impostore, uno scavo che produce un ritratto ridimensionato ma non meno enigmatico di un uomo come tanti che ha cercato di scrollarsi di dosso la cappa grigia dell’anonimato.
Enric Marco, figlio di un padre alcolizzato e una madre nevrotica, era nato in un manicomio e aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza a Barcellona con gli zii paterni; durante la guerra civile aveva militato, con slancio ma senza atti di eroismo, tra le fila repubblicane; sotto la dittatura franchista aveva invece cercato di sottrarsi al servizio militare obbligatorio offrendosi come operaio volontario per lavorare nei cantieri navali della Germania nazista, dove era stato imprigionato perché accusato dai colleghi di essere comunista. Questo è lo snodo chiave, la mezza verità su cui Marco edificherà la sua fama di deportato. Prima però di distorcere a suo favore la breve permanenza nel commissariato di Kiel userà i suoi ricordi di giovane repubblicano, opportunamente ritoccati, per creare il suo mito di resistente indomito che, nell’era democratica postfranchista, lo aiuterà a divenire segretario generale del sindacato anarchico della Cnt e poi a presiedere la Amical de Mauthausen. Il lavoro di indagine è encomiabile, ma Cercas non è uno storico, bensì un romanziere attirato dal mistero di un gesto individuale inspiegabile. Ecco dunque che la sua narrativa si apre superando qualsiasi limitazione nazionale e Marco si tramuta in simbolo di altre imposture: quella di un popolo spagnolo improvvisamente impavido dopo anni di silenzi e mediocrità, quella dello scrittore e, in minor misura, quella del testimone di fronte alle verità degli storici. L’autore vede riflessa nel protagonista l’ignavia di molti suoi connazionali, proclamatisi ferventi democratici dopo la morte di Francisco Franco, atteggiamento che è la versione storicizzata della realtà alternativa con cui ognuno abbellisce la monotonia della propria esistenza. La creazione di mondi immaginari, ovviamente, è un’arte ben nota a chi scrive romanzi e, nel tracciare un parallelo tra Enric Marco e Don Chisciotte in quanto artefici di rielaborazioni del reale più appaganti, il rischio di incappare nella trappola dell’autoinganno e nella proiezione di un’immagine fittizia di sé viene esteso alla categoria degli scrittori. Ragionamenti possibili grazie a un narratore che è un alter ego di Cercas, un personaggio coinvolto sia nella narrazione, sia nella stesura del testo.
L’eccessiva aderenza della trasposizione letteraria al modello reale inceppa, però, il meccanismo dell’autofinzione e alcune prese di posizione paiono troppo perentorie e riduttive in un autore del calibro di Cercas. L’impostura del letterato viene giustificata appellandosi al patto con un lettore che sa di doversi confrontare con qualcuno dedito a inventare, mentre nel caso di Marco la morale pubblica esige che nessuno manipoli eventi inseriti in un contesto storico. Anche il rapporto tra soggetto e storia viene liquidato in maniera simile: è necessario ricondurre la memoria individuale del testimone nell’alveo oggettivo del sapere scientifico, altrimenti si corre il pericolo di finire in balia di un racconto parziale e tendenzioso. Il principio non è privo di una sua logica, ma andrebbe approfondito perché non bisogna dimenticare che la testimonianza è uno strumento fondamentale di comprensione in grado, come ha insegnato Primo Levi, di trascendere i dati e conferire un senso umano a qualcosa di apparentemente inspiegabile. Le pagine migliori del libro nascono dal confronto e dalla strenua lotta delle soggettività di chi narra e di Marco, nel tentativo di afferrare verità sfuggenti, restie a venire ingabbiate. E proprio questa è la grandezza di Enric, intuita in tutta la sua portata dalla sensibilità di Cercas: si tratta di una persona reale che però può essere spiegata soltanto con l’impostura di un romanzo perché qualsiasi biografia o saggio, contrapponendo la puntigliosità di ricerche e documenti ai suoi raggiri, sarebbe stato una sorta di processo destinato a risolversi in una condanna senza appello. La letteratura, invece, non giudica e si limita a restituire la complessità irrisolta di luci e ombre, avvicina gli uomini nello sforzo di interrogarsi sulla propria condizione e, senza che se ne rendano conto, li salva dalla barbarie e dalle loro stesse menzogne.
cattaneo.simone@gmail.com
S Cattaneo è assegnista in letteratura spagnola all’Università di Milano
Javier Cercas – Scrivo per togliere l’ultima maschera: intervista all’autore tratta dalla “Quinzaine” 1137, 16-31 ottobre 2015
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