Oltre i confini dell’umanità
recensione di Massimo Maurizio
dal numero di luglio-agosto 2016
Irena Brežná
LE LUPE DI SERNOVODSK
Reportage sulla Cecenia
ed. orig 2014, trad. dal tedesco di Alice Rampinelli
pp. 224, € 16
Keller, Rovereto 2016
Questo reportage sulla Cecenia è una raccolta di testimonianze giornalistiche, ma anche un doloroso colloquio con Zajnap Gašaeva, premio Lev Kopelev per la pace e i diritti umani 2005. I quindici articoli che compongono questo volume ruotano per lo più attorno a figure di donne come Gašaeva o Anna Politkovskaja (autrice anche della prefazione), ma soprattutto di altre, quasi anonime, attive sullo sfondo delle due campagne russe in Cecenia; esse sono le lupe del titolo, animali sofferenti, deprivate delle qualità umane. L’immagine delle lupe parrebbe smentire l’allusione alle cerbiatte del toponimo contenuto nel titolo (serna in russo è, appunto, «cervo»), ipostasi prebellica delle lupe, trasformate dalla violenza e dall’assurdo imperante, dall’annullamento della volontà, della cultura, del rispetto di se stesse. La distruzione del villaggio di Sernovodsk richiama l’annichilimento dell’immagine di donna-madre, moglie e custode della cultura tradizionale.
Una delle prime scene del libro descrive l’autrice che, insieme ad alcune donne cecene, travestita lei stessa da cecena, passa un posto di blocco russo ed entra nel villaggio per documentarne la distruzione. La volontà di confondersi, di «prestare» la propria voce, di assumere un proprio punto di vista altro, differente da quello colpevolmente occidentale e privilegiato, ritorna costantemente, come anche la volontà di accogliere la tragedia intima e personale di ogni vittima del conflitto. Il coinvolgimento in prima persona porta necessariamente a una visione parziale, antirussa, almeno per ciò che attiene i fatti descritti, in relazione ai quali i kamikaze sono il risultato delle umiliazioni ricevute, delle violenze. Mi sembra che questa faziosità sia voluta, ricercata come contraltare al silenzio e alle simpatie dell’Occidente nei confronti della Russia in guerra (almeno nel periodo dei fatti narrati). Se la scrittura documentaristica e il giornalismo hanno un senso, allora l’empatia con il tema trattato, la presa di una posizione anticonformista e il coinvolgimento del lettore si muovono nella direzione della definizione di quel senso.
Il responsabile è il potere
«Hai detto che l’accaduto ha avuto luogo il 2 luglio del 2001 durante un’epurazione del villaggio di Sernovodsk. Ma Sernovodsk è solo un nome, indicativo della Cecenia intera, che l’esercito russo tratta come un luogo oltre i confini dell’umanità (…) Alcune vittime, hai detto, sono poi diventate kamikaze, portatori di una bomba di cui volevano condividere l’esplosione. Dopo che l’anima era esplosa, doveva farlo anche il corpo. (…) I violentati non vogliono più vivere, e come potrebbero, marchiati per sempre con la vergogna più grande, commenti tu con rammarico». (Al di là del corpo, lettera aperta all’attivista cecena per i diritti umani Zajnap Gašaeva). Lo scopo di Brežná non è però quello di demonizzare i russi: essa mette anzi in evidenza diverse iniziative, come quella di portare i bambini ceceni ospiti di famiglie russe, dove gli orfani di guerra «hanno imparato che non tutti i russi sono gli assassini dei loro genitori». Il responsabile della tragedia dell’annullamento della volontà e della personalità, oltre che ovviamente della distruzione del paese caucasico, è il potere in quanto tale, non soltanto quello di Putin, ma anche di Ramzan Kadyrov, e di Šamil Basaev, terrorista ed eroe nazionale per un certo periodo. Il potere in quanto tale e da entrambe le parti.
La non comprensione, il non rispetto della cultura e delle usanze cecene, il tentativo di russificazione forzata è la violenza prima, la miccia di tutte le altre forme di violenza, che priva l’occupante di umanità e che lo porta a umiliare l’occupato, a privarlo della sua veste umana. La stessa non volontà di comprendere il paese e la situazione riguarda però, come si è accennato, anche il potere dell’Europa occidentale, che usa due pesi e due misure per le violenze perpetrate in Cecenia dai russi e per quelle in Russia operate dai ribelli ceceni.
Le tre lingue dell’autrice (slovacco, tedesco e russo) vengono impiegate in contesti diversi e implicano tre visioni diverse, di se stessa, ma anche e soprattutto del luogo, in cui quelle lingue operano per decodificare la realtà circostante; non è un caso che raccontando dell’orrore del conflitto in Cecenia agli svizzeri, e quindi in tedesco, spesso «manchino le parole»; in realtà non sono le parole a mancare, ma i concetti, i realija, che rendono una cultura esotica, se vista con interesse e rispetto, ma che ne fanno un qualcosa di estraneo e pauroso, se non si è in grado di rinunciare alla propria visione personale, univoca e assolutizzante, alla visione del soldato che viene mandato a sparare a un nemico che il potere e la propaganda disumanizzano, rendono fantoccio, e in quanto tale più facile da umiliare e uccidere.
massimo.maurizio@unito.it
M Maurizio insegna letteratura tedesca all’Università di Torino
Un mondo andato in pezzi: anche Marco Buttino ha commentato il reportage di Irena Brežná sul numero di luglio-agosto 2016.