La survivance di Miriam Toews e Frances Greenslade
di Silvia Annavini
Nel 1972 Margaret Atwood affermava, in uno dei testi più controversi nell’ambito degli studi culturali, che se la narrativa di ogni nazione può far riferimento a un simbolo che la possa contenere, quello del Canada sarebbe la sopravvivenza. Concedendo al termine ovviamente una molteplicità di sfaccettature, la survivance è qui principalmente intesa come capacità di mantenersi in vita, di andare avanti nonostante l’incombere di catastrofi naturali e umane. A oltre quarant’anni dalla pubblicazione di Survival. A Thematic Guide of Canadian Literature, sarebbe difficile tuttavia smentire la sua autrice alla luce di alcuni dei testi più significativi pubblicati nel corso dell’ultimo anno per impulso di due coraggiose case editrici di qualità. In tal senso, mi è sembrato pertinente giustapporre I miei piccoli dispiaceri di Miriam Toews, edito da Marcos y Marcos nel 2015, e Il nostro riparo di Frances Greenslade pubblicato da Keller alla fine del 2015. I due testi presentano, infatti, numerose affinità e consentono di tracciare una parabola tematica piuttosto rilevante nell’ambito della letteratura canadese.
Parliamo in entrambi i casi di donne e, nello specifico, di sorelle che declinano il concetto di sopravvivenza attraverso lo specchio più ampio della semantica di questo archetipo. Entrambe le narrazioni hanno inizio con la descrizione di un nucleo familiare che prende forma in un’abitazione precaria, mobile, in movimento: “Era una casa calda, diceva mamma, non costruita però da chi aveva intenzione di restare” (Greenslade, p.15). In tutti e due i testi assistiamo a un continuo contrapporsi di interno ed esterno, la ricerca estenuante di una stabilità emotiva messa perennemente in crisi da una natura che sembra prendere vita costituendo a tutti gli effetti un personaggio determinante del racconto. Questa precarietà trasferita all’immagine della struttura abitativa determina un altro topos comune alla sfera tematica di questi due romanzi e di altri significativi riferimenti letterari canadesi (a partire da Alice Munro) e, cioè, l’impossibilità della stanzialità.
Canada, terra inospitale
Il terreno canadese sembra così inospitale da impedire di mettere radici generando un nomadismo fisico ed esistenziale. Come ricorda ancora una volta Margaret Atwood, la specificità dell’esperienza migratoria canadese – a differenza di quella americana – risiede nel suo essere votata al fallimento. Non sembra non esserci neppure contrapposizione – in termini di fato e destino – fra i nuovi emigranti e i nativi. Anzi, soprattutto nel testo della Greenslade questo tema apre uno spiraglio in grado di rompere l’aura della fascinazione e regalare maggiore intensità e storicità alla narrazione, proponendo una storia d’amicizia e d’amore che è, in fondo, anche la storia di un riflettersi di destini e di obbiettivi.
Un ruolo fondamentale è certamente rappresentato dall’autonarrazione, o meglio, da quella narrazione del particolare così tipico della voce femminile che Adriana Cavarero riconduce al concetto stesso di unicità che porta le donne a essere testimoni e portavoci di storie di vita. I miei piccoli dispiaceri si configura come uno stream of consciousness dai contorni dell’autofiction. Combinando elementi autobiografici e finzionali, Miriam Toews descrive il difficile rapporto con la sorella, pianista di successo ma afflitta da una profonda depressione, che la porterà a diversi tentativi di suicidio e, infine, alla morte. L’autrice affronta questo tema con un’ironia che non lascia mai spazio alla leggerezza ma piuttosto a una riflessione emotiva e lucida al tempo stesso sul diritto alla non sopravvivenza. Contemporaneamente, la narrazione intesa come celebrazione della sopravvivenza costruisce una traiettoria senza scorciatoie e tutta al femminile, dedicata alla lotta di chi resta nel rispetto e nel ricordo di chi ha ceduto le armi.
Nel romanzo della Greensdale, invece, due sorelle si trovano a fronteggiare l’inspiegabile abbandono da parte della loro madre in un criptico e allegorico paesaggio della British Columbia. La narrazione sembra dare senso al processo che conduce alla comprensione di questo abbandono e dà vita, nella seconda parte del romanzo, a una sorta di racconto parallelo, di natura quasi fantastica in cui questa sparizione acquisisce progressivamente significato riappacificando l’animo di chi racconta rigorosamente in prima persona. L’atto del narrare si rivela per queste autrici come un elemento terapeutico, testimoniale e, al tempo stesso, appare come un grido di fronte alla necessità di presentare i fatti dal loro punto di vista altrimenti periferico, minoritario. In una società maschilista e conservatrice come quella mennonita, rappresentata da Miriam Toews così come in una comunità irrigidita da un ambiente ostile come quello della British Columbia degli anni ’60, così presente nei minimi dettagli ne Il nostro riparo, queste voci femminili si stagliano nitide e forti, dalle loro lontane e impervie geografie, rivendicando l’imperfezione e l’unicità delle vite racchiuse nella costruzione loro racconti che si configurano, però, finalmente, come un solido riparo.
silviaannavini@gmail.com
S Annavini è comparatista e si occupa principalmente di letteratura portoghese e angolofona