Nel labirinto di Brodskij e altri irregolari
recensione di Miriam Begliuomini
Pasquale Di Palmo
VENEZIA. NEL LABIRINTO DI BRODSKIJ E ALTRI IRREGOLARI
pp. 171, € 14
Unicopli, Milano 2017
Compare nella collana “Le città letterarie” Venezia. Nel labirinto di Brodskij e altri irregolari ma lo spazio che emerge pagina dopo pagina è un sovrapporsi di scritture, architetture, ricordi personali. E sotto il doppio segno di autobiografia e letteratura il volume di Pasquale Di Palmo si pone fin dal suo incipit: la peregrinazione attraverso la Serenissima parte dalla tomba del poeta russo e premio Nobel Iosif Brodskij, collocata nell’Isola di San Michele, dove, decenni prima, Di Palmo si è recato a rendere omaggio al nonno con la propria madre. Da qui in poi si moltiplicano i riferimenti a una città dai contorni personalizzati, allacciata a figure famigliari (il padre portalettere, la madre, il figlio, il lavoro). Le stesse fotografie che corredano il volume rientrano in un doppio registro, alternando scatti di chiese e monumenti, artisti e genitori. Ne risulta una collezione di 51 capitoli – tanti quanti quelli di Fondamenta degli Incurabili di Brodskij, come ricordato da Alessandro Scarsella nell’introduzione – in cui il lettore è invitato a perdersi, a constatare che “Venezia non esiste, è solo una «dimensione dell’animo», una proiezione dei nostri sogni che si riverberano come fantasmagorie sull’acqua” (p.145).
Messi alla berlina il turismo di massa e le sue nefandezze sociali, urbanistiche e culturali (si vedano il centro spopolato di abitanti per lasciar posto alle strutture alberghiere e al mercato del souvenir; la città trasformata in un museo a cielo aperto, di vedute pittoresche e itinerari sempre uguali a se stessi), più interessante è spostarsi nelle periferie, nelle irregolarità, letterarie e urbane. Se Brodskij e la sua Venezia fanno da filo conduttore, si moltiplicano i riferimenti agli autori che vi hanno transitato, alle loro più o meno definitive letture della città. Alla Venezia di Pound, Henry James, Ruskin, Hemingway, Proust, Zanzotto, Marinetti e Landolfi si interseca quella pitturale di Giorgione, Palma il Giovane, Cagnaccio Scarpa; Gino Rossi e Tancredi, pittori e psichiatrici, offrono l’occasione per una deviazione sull’isola di San Servolo – dove, fino al ’78, sorgeva il manicomio – e sulla legge che porta il nome di un altro grande veneziano, Basaglia. E proprio nella rapsodia di voci e immagini raccolte da Pasquale Di Palmo sta la forza del volume, nel suo restituire una realtà sfaccettata, che muta attraverso il tempo ma soprattutto nello sguardo dell’osservatore. “Il ricordo è un ricordo della luce, una cascata luminosa che spiove sul mio risveglio di bambino in un letto matrimoniale. Una luce che non era come tutte le altre, ma aveva qualcosa di indefinibile e celestiale. Un pulviscolo di luce, un’immagine di serenità e pace. Non esisteva più niente, soltanto quella luce inverosimile, invadente, che in sé accorpava tutti i contorni della stanza avvolgendoli e, al tempo stesso, annientandoli. Un angelo probabilmente si manifesta così. Il tema della luce veneziana è una sorta di leitmotiv” (p. 25).
Venezia: rappresentazioni e riflessi
La città finisce per smaterializzarsi, farsi riflesso, gioco di bagliori; nella presenza dell’acqua lagunare si suggerisce la causa del moltiplicarsi di vedute. L’aporia è tutta contenuta in due versi citati da Brodskij, il quale osserva la laguna “con lo sguardo intorbidito dall’ansia di fissare questo paesaggio / capace di fare a meno di me” (p.85). Il paesaggio esiste al di fuori dello sguardo di chi lo osserva? Dice il geografo Massimo Quaini che “Il paesaggio fa ombra perché non è soltanto rappresentazione, immagine, valore che fa astrazione dalla realtà materiale e locale di cui è la proiezione; perché, come recita la definizione settecentesca dell’ombra (…), anche l’ombra è «un solido la cui forma dipende a un tempo da quella del corpo luminoso, da quella del corpo opaco e dalla posizione di quest’ultimo in rapporto al corpo luminoso». Il paesaggio, anche come ombra, è dunque qualcosa di corporeo” (Quaini Massimo, Il tempo e lo spazio della collina e della montagna ritrova nelle isole greche e che si articola nel rapporto fra la mediterranea, Atti del Convegno «Meeting sul Paesaggio. 14-15 dicembre 2008, Genova», pp. 46- 61). Solo tenendo presenti le due componenti, l’osservatore e la realtà, la rappresentazione e il luogo, si può “superare il concetto di paesaggio-immagine risalendo al solido che produce l’ombra” (Ivi, p.52). E così, forse, salvarne anche i riflessi.
miriam.begliuomini@unito.it
M Begliuomini è dottoranda in letteratura francese all’Università di Torino