Tornare al realismo sociale, superando il postmoderno
di Gabriella Dal Lago, Chiara Dalmasso, Virginia Giustetto, Corrado Iannelli, Jacopo Turini
dal numero di giugno 2016
Silvia Pareschi è traduttrice di Jonathan Franzen e molti altri autori, da Junot Díaz a Zadie Smith, da Don DeLillo a Amy Hempel; ci ha raccontato cosa significa tradurre da quindici anni uno degli autori più famosi e controversi della letteratura contemporanea. L’incontro è stato organizzato dal Laboratorio Sogno o son testo per il ciclo Sovvertere e si è svolto a Manituana-Laboratorio Culturale Autogestito nell’ambito del Salone Off a Torino.
Come è ovvio che sia, l’incontro comincia dall’inizio, da come un traduttore diventa un traduttore: “Ho cominciato laureandomi in lingue, in russo: era il periodo della Perestrojka e sembrava che fosse la lingua del futuro. Mi sono però poi resa conto che non era la mia lingua, e mi son chiesta: cosa faccio con questa laurea?”. Dall’abbandono del russo inizia un percorso diverso: un periodo di lavoro seguito poi dal master alla Scuola Holden. “Durante il primo anno ho seguito un seminario con Anna Nadotti sulla traduzione: mi è piaciuto, sono andata a cercarmi un inedito per darle una prova di traduzione. Mi son detta ‘dai, vediamo che dice’”. La scelta cade su una raccolta di racconti di Alice Walker: “Ho tradotto un racconto, l’ho dato ad Anna… qualche giorno dopo mi chiama Marisa Caramella, editor Einaudi, per una traduzione. Ero stupefatta”.
Dopo una prova di traduzione, Marisa Caramella affianca Silvia Pareschi nel lavoro di traduzione di Le correzioni di Jonathan Franzen: “Certo la editor di Einaudi non ha affidato a me pivella il capolavoro del secolo. Mi ha affiancata, è stata una scuola per me. Andava così: traducevo una decina di pagine, io leggevo in italiano e lei controllava in inglese. Ho imparato tantissimo: è stato questo l’inizio fortunato della mia carriera di traduzione”.
Quindici anni con Franzen
“L’idea di stasera era quella di parlare di Franzen ma mi limiterò a guardare Le correzioni, Libertà, Purity; i tre romanzoni, insomma”. In un saggio pubblicato sulla rivista “Harper’s” Franzen descrive la sua idea di letteratura, ed è da qui, dice Silvia, che potremmo partire per capire la volontà che sta alla base di Le correzioni: “Quello che Franzen vuole fare è recuperare il valore del realismo sociale, superare il postmoderno e tornare al grande romanzo sociale”, come Tolstoj e Dickens. “La particolarità di questo recupero sta nel suo prendere le mosse dai personaggi: è come se Franzen lavorasse a forza centrifuga concentrandosi sulla loro creazione”. L’intera narrazione si sviluppa da cinque personaggi, i membri della famiglia Lambert: il padre e la madre incarnano i valori del Midwest americano, mentre i tre figli, dopo aver rotto con la famiglia, si sono trasferiti sulla costa. “L’idea di fondo riguarda insomma figli che vogliono con la loro vita correggere quella dei genitori”. Nella storia di Le correzioni c’è un forte elemento autobiografico: il signor Lambert ha il morbo di Parkinson mentre il padre di Franzen, al quale è dedicato il saggio Il cervello di mio padre, aveva l’Alzheimer. È proprio la perdita di questo elemento autobiografico a segnare una delle difficoltà maggiori nel passaggio da Le correzioni a Libertà, in cui la narrazione si fa diversa: siamo di nuovo nel Midwest, a Saint Paul, Minnesota. Il romanzo parla del ritorno della middle class dai sobborghi verso il centro cittadino, cadente e devastato, l’inizio di un processo di gentrificazione.
“L’altro carattere importante, stilistico, di Le correzioni, sta nel mantenimento di quegli elementi linguistici di postmoderno sperimentale che si portava dietro dai precedenti romanzi, e che non si troverà così marcato nei romanzi successivi”.
Il nostro seminario si è aperto con un incontro su David Foster Wallace (“L’Indice” 2016, n. 2) e si chiude con questo discorso su Franzen, ed è inevitabile il confronto. Proprio a proposito del superamento del postmoderno, l’impressione che ci ha dato leggere Franzen è che lui sia molto europeo: questo fatto è percepito anche da un lettore americano?
“Mentre in Foster Wallace hai il postmoderno”, risponde Silvia, “Franzen usa il romanzo europeo per ricostruire il romanzo realista, rimetterlo in piedi dalle macerie del postmoderno. Forse a un lettore americano il suo periodare può sembrare poco familiare, ma Franzen è sentito comunque molto americano perché imbevuto di quella cultura”.
In Purity ci si sposta dal Midwest e dalla costa orientale dei romanzi precedenti (spazi in cui Franzen è nato e cresciuto) alla California, dove ora vive, e alla Germania, luogo in cui ha studiato e tradotto. Il fatto che buona parte di Purity sia ambientato a Oakland, città in cui Silvia trascorre alcuni mesi dell’anno, ha reso il lavoro di traduzione ancora più interessante a livello personale: “Quello che il traduttore deve assolutamente fare è osservare, vedere, così da attivare le facoltà immaginative, e qui per la prima volta vedevo mentre leggevo”. Tradurre un autore significa entrare a far parte del suo mondo e non potersene distaccare mai: “È qualcosa che ti porti dietro, non è come il lavoro d’ufficio, in cui stacchi, vai a casa e fai altro”. E ciò è tanto più vero quando traduttore ed autore sono amici, come nel caso di Silvia: “Io Franzen lo conosco, lo frequento, e questa cosa è cominciata ai tempi di Le correzioni, è molto pignolo e quando io e l’editor abbiamo iniziato a presentargli dei dubbi lui rispondeva contento, perché pensa che i traduttori senza dubbi non siano buoni traduttori”.
Come fatto notare dalla traduttrice, nel confrontare gli incipit di Le correzioni e Libertà percepiamo meglio la portata del lavorìo stilistico alla base dell’evoluzione della narrativa in Franzen. Nel primo il prologo è d’ostacolo, di sfida al lettore, ed è Chip Lambert stesso a rivelarcelo appena presentato, da personaggio picaresco, parlando a Julia di una sceneggiatura da lui scritta: “La mia idea, – disse Chip, – è di inserire un ‘ostacolo’ che lo spettatore debba superare. Mettere qualcosa di sconcertante all’inizio è una classica strategia modernista. La suspense diventa incalzante nel finale”.
Molto diverso il prologo di Libertà, soglia d’ingresso, sì, ma questa volta pensata per accattivare le simpatie dei lettori anche nelle intenzioni, quasi uno sfoggio di retorica talentuosa, che rende con evidenza il cambio d’obiettivo di Franzen, alla ricerca di un ampliamento di pubblico: “Franzen descrive epoche tramite oggetti, cose materiali, personaggi tipizzati culturalmente: proprio quegli elementi intrasferibili da lingua a lingua”. Il prologo Buoni Vicini per Silvia è eccezionale: “Patty ci è presentata da voci e dicerie dei vicini. Una ‘descrizione laterale’ fatta indirettamente: è un pezzo di bravura”.
Tradurre è cadere
“Nel prologo di Libertà si legge: ‘Motociclisti arrostiti dal sole continuavano a invadere il terreno di fronte, bevendo Schlitz, grigliando salsicce e smanettando in piena notte’. I dettagli e gli oggetti ci danno molte informazioni sui personaggi. Franzen gioca con i tipi umani specifici, con l’immaginario collettivo che li circonda, che non è quello dei lettori italiani. “Per esempio, ho scoperto che il tipo di personaggio che guida la Volvo in America è il giovane intellettuale un po’ squattrinato che cerca di farsi strada nella vita, mentre in Italia una Volvo è una Volvo e basta”.
Ma i problemi possono anche riguardare questioni linguistiche, non solo culturali. “In Purity è presente una poesia in tedesco con la corrispondente traduzione in inglese: le iniziali dei versi compongono due acrostici. In italiano ovviamente non corrispondeva; c’è stata un’interessante discussione fra me e l’editor. Si è scelto di lasciare la mia traduzione, con una nota al termine”.
Tradurre è rialzarsi
Tra le cose più belle di quando si traduce, però, c’è anche il fatto di doversi inventare nuove parole, per supplire a lacune nel passaggio lingua madrelingua di destinazione. Per esempio Silvia ha fatto i conti con lo spanglish di Junot Díaz, lingua ipercreativa per la quale in alcuni casi è stato necessario apporre un glossario al fondo del testo. Con Franzen le cose sono state diverse, ma in un caso la traduttrice si è trovata a dover inventare un’espressione linguistica e con risultati molto divertenti. In Libertà c’è un punto in cui il padre di Patty, con l’intento di fare una battuta, dice: “Nor’fock a Virginia!”. Domandando a Franzen cosa significasse quell’espressione, l’autore ha risposto: “È una battuta su un italiano che non scopa con le vergini, fock è una parodia della pronuncia italoamericana della parola fuck e la battuta fa riferimento alla città di Norfolk in Virginia”. Ora, il compito di chi avrebbe tradotto questa frase in italiano era trovare una formula volgare, breve e identificabile come presa in giro rivolta a un italiano da parte di un americano: niente di più difficile. “Non sapevo come risolverlo, mancava poco alla consegna … fino a quando, parlando con mio marito (Jonathan Keats, ndr) per trovare un’espressione plausibile, viene fuori il termine ‘focaccia’… ed ecco come è nata l’idea di trasformare “Nor’fock a Virginia” in “Fuck-accia”! Franzen ha amato la soluzione. Non entrerà certo nei dizionari ma è stata una grande soddisfazione!”.
The Nightmare of Consumption
In una delle prime scene di Le correzioni, Chip entra in The Nightmare of Consumption, un grande supermercato dove tutto è estremamente costoso; a un tratto vede un pezzo di salmone a un prezzo decente e lo compra. Al momento di pagarlo, però, si accorge che il prezzo indicato in corsia era all’etto e non al chilo e che il totale da pagare è di 78 dollari: allora si inginocchia, lo nasconde e lo porta via sotto il maglione. “Ecco, io un giorno ero a Manhatthan, dovevo preparare una cena per Franzen e la fidanzata. Non conoscevo il quartiere ed ero a fare la spesa da sola, sono entrata in un supermercato dove tutto era costosissimo, mi son sentita nelle Correzioni; ho speso 100 dollari in mozzarelle, pomodori e olive. Quando Franzen ha assaggiato le cose che avevo acquistato mi ha detto ‘Ottime, dove le hai prese?’. Gli ho detto il nome del supermercato e lui di risposta: ‘That’s the Nightmare of Consumption!’. Ecco dove è arrivato il mio livello di identificazione con i suoi personaggi!”.
“Se non sei rilevante per l’oggi non lo sarai per il domani”: sul numero di aprile 2016 Ennio Ranaboldo intervista Jonathan Franzen in occasione della pubblicazione di Purity.
“Il potere eversivo della noia”: sul numero di aprile 2013 Martino Gozzi commenta Più lontano ancora, un’opera minore di Franzen ricca di spunti e qualità.