Acquisizione e progetto di restauro
di Massimo Bray
dal numero di marzo 2016
La Reggia di Carditello, creata nel 1744 da Carlo di Borbone, che vi aveva impiantato un allevamento di cavalli, sorge a San Tammaro (Caserta), nell’area nota oggi come la Terra dei Fuochi al centro di camorra, rifiuti, soprusi e degrado; un tempo era un territorio fertile dotato di un paesaggio straordinario e unico, in cui si coltivavano e si allevavano diverse e rare specie vegetali e animali.
Carditello faceva parte di un gruppo di ventidue siti (tra i quali la Reggia di Caserta, quella di Portici, la Reggia di Capodimonte e il Palazzo Reale di Napoli) appartenenti alla dinastia reale dei Borbone di Napoli: erano luoghi dedicati allo svago e alla caccia della famiglia reale e dove si sperimentavano nuove tecniche e prodotti agricoli (si pensi, ad esempio, alla mozzarella creata per la prima volta in una fattoria di Carditello).
Ammirata persino da Goethe
L’antico splendore di questa reggia, che fu insieme tenuta di caccia e azienda agricola altamente specializzata, secondo il volere e gli ideali illuministici di re Ferdinando IV di Borbone (1751-1825), è riconoscibile non solo in quello che resta delle sue architetture, giardini e arredi, ma anche perché divenne un modello per le pratiche agricole e zootecniche e si meritò l’ammirazione persino di Goethe. Ed è proprio alle parole di quest’ultimo che si deve una vivida descrizione della costruzione di Carditello e dei festeggiamenti che ne celebrarono il completamento; descrizione che si chiude con il celebre aneddoto secondo il quale re Ferdinando IV, “molto contento del fatto che tutto si era svolto bene e allegramente”, avrebbe ringraziato il pittore Jakob Philipp Hackert e avrebbe esclamato: “Questo è l’unico palazzo, tra quelli che possiedo, che sia finito e completamente ammobiliato!”.
La Reggia, ripensata nel 1787 su incarico di Ferdinando IV dall’architetto Francesco Collecini, collaboratore di Luigi Vanvitelli, ha uno sviluppo simmetrico a forma di doppia T e comprende una residenza o palazzina reale dalle linee neoclassiche, coronata da una balaustra e da un belvedere, da cui partono i lunghi corpi bassi delle ali riservate ad ambienti destinati ad azienda agricola.
Lo spazio retrostante alla palazzina è suddiviso in cinque cortili destinati alle attività agricole, mentre l’area antistante, riservata alle corse dei cavalli, è realizzata come un antico circo romano: una pista in terra battuta, con i lati brevi semicircolari e alle estremità due fontane con obelischi in marmo, circonda un prato centrale, al centro del quale si erge un tempietto circolare, da cui il re assisteva agli spettacoli ippici.
Dopo gli antichi fasti e splendori, la vicenda novecentesca del sito vede una condizione di progressivo degrado, tra lottizzazioni e vendite della tenuta, passando per l’occupazione militare tedesca durante il secondo conflitto mondiale, fino alla recente messa all’asta del complesso monumentale: questi fatti hanno caratterizzato la storia di uno tra i siti più belli e più – dolorosamente – trascurati del nostro paese.
La Reale tenuta di Carditello è diventata oggi il simbolo del progressivo abbandono e degrado, a cui è stata sottoposta nel corso degli ultimi decenni insieme a tutta l’area circostante: la reggia è stata spogliata quasi completamente dei suoi arredi (venduti molto spesso in traffici illeciti), offesa nella sua dignità di bene culturale fino a essere dimenticata dallo stato e nel 2011 messa in vendita all’asta per sanare i debiti accumulati con le banche.
In questi anni gli “angeli di Carditello” – come sono definiti nel libro di Nadia Verdile intitolato La Reggia di Carditello. Tre secoli di Fasti e Feste, Furti e Aste, Angeli e Redenzioni (Ventrella, 2014) – sono i tanti cittadini che hanno, con coraggio e determinazione, cercato di contrastare il degrado; i tanti membri delle associazioni votate alla difesa, alla manutenzione e alla valorizzazione di Carditello, come i volontari di Agenda 21 per Carditello e i Regi Lagni, di Italia Nostra, del FAI (Fondo Ambiente Italiano), di Orange reEVOLution, del Touring Club Italiano, e infine, e soprattutto, Tommaso Cestrone, il volontario che si occupava, a titolo gratuito, di custodire il giardino e gli arredi dalle incurie e dalle ruberie, e che ho avuto l’onore di conoscere durante la mia visita alla tenuta nell’ottobre 2013, due mesi prima della sua improvvisa scomparsa avvenuta durante la notte della vigilia di Natale. La sua vicenda è raccontata nel film Bella e Perduta (2015) del regista casertano Pietro Marcello, che ha voluto così ripercorrere la storia del sito di Carditello interpretandola attraverso una chiave onirica e paradigmatica, nonché come metafora dello stato del pianeta.
Di mano in mano
Il processo di acquisizione di Carditello da parte dello stato non è stato immediato e ha comportato uno studio e un’analisi minuziosi e delicati, che hanno sancito le varie fasi di questo processo a partire dalle undici aste giudiziarie andate deserte fino al 2013, dopo che il Consorzio generale di bonifica del bacino inferiore del Volturno aveva ipotecato la reggia alla società Sga (Società gestione attività, società controllata dal ministero dell’economia e delle finanze).
Solamente il 9 gennaio 2014 una società controllata dal ministero dell’economia e delle finanze ha acquistato nel corso di un’asta giudiziaria la Reggia, per poi trasferirla al ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nell’ambito di un progetto che prevedeva lo stanziamento di tre milioni di euro per i primi lavori di restauro e la costituzione di una fondazione con tutti gli enti locali, le associazioni dei cittadini e i ministeri dell’ambiente e dell’agricoltura per la gestione.
Per prima cosa con la restituzione di Carditello alla comunità, lo stato ha tenuto fede a quello che è un suo compito e un suo dovere, esplicitamente enunciato all’art. 9 dalla carta fondativa della nostra democrazia, dove si legge che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.
Abbiamo comprato Carditello per tutelare questo paese e non per violentarlo e riempire il paesaggio intorno di cibi tossici, costruendo la più grande discarica che sia possibile realizzare; ma per far invece di quella terra un luogo fertile. E della reggia un luogo dove università, enti locali e associazioni possano sperimentare come debba essere questo nostro paese, al fine di costruire insieme un modello nuovo di sviluppo e crescita, che ponga al centro la cultura come motore di sviluppo, rilancio economico e collante della comunità.
A Carditello il progetto di restauro prevedeva il coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni, in particolare nella Fondazione di gestione: questo è il segreto di tutte le buone pratiche che vengono realizzate per ricostruire il nostro paese; bisogna confrontarsi su quella terra con le persone che ci vivono, che la amano.
L’impegno sulla Reggia di Carditello, da questo punto di vista, rappresenta un esempio e un modello: un bene comune troppo a lungo trascurato e lasciato in condizioni di abbandono, che viene restituito alla comunità e valorizzato dal punto di vista culturale e turistico, sino a diventare un punto di riferimento positivo per il territorio, polo di coesione sociale e opportunità dal punto di vista occupazionale.
I lavori di restauro conservativo e manutenzione, finanziati con fondi del Programma operativo interregionale (Poin) “Attrattori culturali, naturali e turismo”, sono iniziati a dicembre 2014 e dovrebbero concludersi il 31 marzo 2016. Gli interventi hanno avuto come obiettivi principali la messa in sicurezza delle strutture per arginare il degrado e il recupero della fruizione del sito da parte dei visitatori: nello specifico, si è intervenuti negli impianti di illuminazione, nel ripristino del verde, nell’impianto di irrigazione per i giardini e ancora di più in quello di sorveglianza.
Nel mese di ottobre 2015 è stata nominata una direttrice per Carditello, Anna Maria Romano, che ha il compito di proseguire il percorso intrapreso per la tutela e la valorizzazione della reggia: a questo punto è importante l’avvio della Fondazione a partecipazione pubblica e privata per la gestione del sito, come è stato stabilito nell’accordo tra il Mibact, il Comune di San Tammaro e la Regione Campania firmato dal ministro Dario Franceschini il 3 agosto 2015.
m.bray@treccani.it
M Bray è direttore generale dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani