Elisa Guzzo Vaccarino – La danza d’arte. Balanchine, Cunningham, Forsythe

In principio era la forma

recensione di Silvia Carandini

dal numero di dicembre 2015

Elisa Guzzo Vaccarino
LA DANZA D’ARTE
Balanchine, Cunningham, Forsythe: tre maestri della danza formale
pp 127, € 16,
Dino Audino, Roma 2015

Elisa Guzzo Vaccarino - La danza d'arte. Balanchine, Cunningham, Forsythe

Questo libro, agile e stringato all’apparenza, è in realtà assai denso nel rimandare a una messe di materiali documentari – scritti, fotografie, video – consultabili sul sito web della casa editrice Dino Audino con opportuni richiami nel testo. Il risultato è uno straordinario viaggio (con qualche inevitabile intoppo informatico) che ogni lettore può diversamente percorrere nell’arte coreutica del Novecento, sul filo di una particolare tendenza della danza moderna e postmoderna. Al centro dell’attenzione di Guzzo Vaccarino sono l’opera e il pensiero teorico di tre grandi coreografi, Balanchine, Cunningham, Forsythe (nato il primo a San Pietroburgo nel 1904, scomparso nonagenario il secondo a New York nel 2009, nato l’ultimo a New York nel 1949 e ancora pienamente attivo) che nel corso di questo tempo hanno alimentato una riflessione e una pratica di altissimo livello intorno al principio estetico di un’arte della danza autonoma, potenzialmente depurabile da riferimenti letterari, figurativi e persino musicali, fondata su principi formali assoluti. Una strada peculiare questa, delineatasi nel magma di esperienze coreutiche avviate alle soglie del Novecento a cominciare dalle artiste americane giunte in Europa (Loie Fuller, Isadora Duncan, Ruth Saint Denis) che travolsero i principi della danza accademica liberando il corpo da vincoli e regole. A queste esperienze si aggiunsero i brillanti rivolgimenti e successi parigini dei Ballets russes di Djagilev, che invece dalla tecnica classica partivano, iniziando a forzarne le regole e traendo dalle avanguardie, attive nella capitale francese, impulsi fecondi. E così dagli Stati Uniti e dalla Russia ancora zarista provennero stimoli che hanno condotto, da un lato all’altro dell’Oceano, agli sviluppi nel corso del secolo di varie tendenze, dalla modern e postmodern dance, a una fioritura di esperienze riconducibili a filoni tendenzialmente “narrativi” o “espressivi”, a indirizzi di matrice neoclassica e formale, alimentati dalle ricerche e dalle pratiche dei tre coreografi al centro di questo libro.

Oltre lo schematismo di tali definizioni, utili comunque a segnalare linee di forza in un panorama assai variegato, si evidenziano qui anche le commistioni e sovrapposizioni fra percorsi non riducibili a una formula. In particolare si segnala come gli esiti estremi di tali vicende, nei primi due decenni del secolo attuale, sembrano accostare in vario modo i territori della performance, dei mixed media, del video e del computer.

Balanchine, Cunningham, Forsythe

Proprio alle ultime vicende dei Ballets russes si legano gli esordi a Parigi (dopo una solidissima formazione classica in patria) di George Balanchine, che traferitosi poi negli Stati Uniti diventa il capofila del balletto neoclassico: porta avanti cioè quel processo di rivitalizzazione della tecnica accademica (unica tecnica performativa conservatasi nella tradizione occidentale, a differenza dell’Oriente) destinato a forzarne le regole e i limiti, rivelando al contempo la sua fondamentale qualità formativa e duttilità semantica. I materiali acclusi al volume forniscono esempi seducenti dell’estetica depurata del suo stile ispirato essenzialmente alla musica, non solo nei grandi balletti ormai di repertorio presso i maggiori teatri del mondo, ma anche nelle esperienze cinematografiche e nelle ironiche e sorprendenti commistioni con il musical americano.

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Merce Cunningham inizia la sua carriera nella compagnia di Martha Graham, per approdare poi a una ricerca personalissima e una sperimentazione affinata a contatto con i movimenti dell’avanguardia pittorica e musicale europea che, in tempi di dittature e di guerra, trova negli Stati Uniti una patria d’elezione. Un’affinità elettiva con le ricerche di John Cage, Marcel Duchamp, Robert Rauschenberg e Jasper Johns porta il coreografo a dar vita a una “libera danza, accanto a libera musica e su libera scena”, come cita l’autrice che spiega “nel senso che la danza per lui accade di per sé, non sulla musica, ma secondo una necessità interna ai corpi danzanti”. Fra i materiali acclusi che documentano per esteso la scena danzante americana, la poetica di Cunningham risalta in brani del suo repertorio come Rain Forest del 1968, Roaratorio del 1983 (da Finnegans Wake di Joyce), i tanti Mondays with Merce, o la poesia tecnologica di Biped (1999, realizzato grazie al dispositivo informatico della motion capture).

La vicenda artistica di William Forsythe, dagli Stati Uniti all’Europa, in Germania dove ancora risiede, è oggi per noi la più intrigante. La critica ha parlato di balletto postclassico, di danza decostruzionista. Si tratta di un grande maître à penser de la danse, come scrive l’autrice, che a partire dalla scomposizione dei principi della danza classica è giunto a creare – come i materiali acclusi al libro documentano – grandi balletti eseguiti oggi nei maggiori teatri, ma anche performance tecnologiche, installazioni mixed media, ibridazioni ardite con l’universo digitale. Un artista a tutto tondo che continua a sperimentare con rigore i confini estremi del pensiero coreografico.

silviacarandini@gmail.com

S Carandini insegna storia dell’arte e dello spettacolo all’Università La Sapienza di Roma