La precarietà del lavoro e la tavolozza sonora di Natalia Ginzburg
Due i nuclei forti di questo numero di ottobre: il Primo piano che si rivolge a un’analisi del mondo del lavoro e lo Speciale dedicato a Natalia Ginzburg nel centenario della nascita della scrittrice.
L’analisi del mondo del lavoro
Illuminanti le parole di Stefano Massini, autore di un libro intitolato Lavoro appena uscito da Il Mulino, nell’intervista rilasciata alla redazione dell’“Indice”: “Trattare oggi un tema come quello del lavoro comporta necessariamente una contaminazione fra zone diverse del pianeta, fra esperienze diverse che ci hanno preceduto. Ma anche incursioni curiose, e in qualche modo necessarie, dentro ambiti apparentemente lontani fra di loro, come quello della robotica o quello della futura faccia che avrà il terziario informatizzato. Credo che questa necessità di spaziare sia essenziale perché il tema del lavoro oggi raccoglie e si ciba di problemi e di cause che in qualche modo vengono da ambiti diversi. Quindi questa provenienza da più parti degli esempi di cui mi servo credo sia inevitabile. Detto questo, per me è molto difficile trovare un minimo comune denominatore perché nel libro cerco di spiegare proprio come oggi la parola lavoro sia stata sottoposta ad una tale quantità di stravolgimenti che in qualche modo si respira intorno ad essa un grande caos, direi quasi babelico”. Orientarsi nel caos babelico significa dunque decifrare un linguaggio che è diventato volutamente farraginoso e insidioso: “Oggi, di fatto, l’estrema precarietà del mondo del lavoro fa sì che un individuo nell’arco di pochissimo tempo possa trasformarsi in un non abbiente, poi in un disoccupato e da disoccupato a dislocato, da dislocato a nuove categorie che si sono venute a creare. Penso, fra tutte, a quella dei pensionati che non erano ancora pensionati ma non erano neanche più lavoratori, la fascia dei cosiddetti esodati”.
Il tema del lavoro viene declinato, sulle pagine dell’”Indice” attraverso l’analisi di opere letterarie recenti, come il romanzo Works di Vitaliano Trevisan, in cui, come spiega il recensore Claudio Panella, “il lavoro è e rimane una maledizione”, una invenzione dell’uomo per contrastare l’insensatezza dell’esistenza: “E tra le pagine più belle di Works ve ne sono parecchie in cui l’autore non si vergogna di raccontare quanta soddisfazione può esserci in un lavoro manuale ben fatto, soprattutto se svolto all’aria aperta”. Il libro di Angelo Ferracuti, Addio, ha come sottotitolo significativo “il romanzo della fine del lavoro” ed è una sorta di reportage narrativo, attraverso un percorso nel complesso minerario sardo che conduce a una rabbia “critica”: “Si tratta piuttosto di una rabbia compassata, garbata, quasi aggraziata. Una rabbia che non cede mai terreno alla semplice indignazione o all’invettiva tout-court, ma che diventa pressante man mano che si accosta all’oggetto osservato, per poi allontanarsene subito dopo, in modo da recuperare la distanza giusta per tentare di storicizzarlo. Una rabbia pensierosa, preoccupata, fragile, costantemente in cerca di spiegazioni sul perché mai in Sardegna, più che in altri luoghi, i conti non tornino mai”. Nel Primo piano si parla di altri libri che sollecitano la riflessione sui cambiamenti nel mondo del lavoro: Il fuoco a mare di Andrea Bottalico, Marcinelle 1956 di Toni Ricciardi e L’anima al lavoro di Franco Berardi Bifo, a proposito del quale annota acutamente Francesca Gruppi: “Viviamo un’epoca di investimento del desiderio nel lavoro e speculare ‘diserotizzazione della vita quotidiana’ come relazione umana, dimensione affettiva, piacere, socialità”.
Lo Speciale dedicato a Natalia Ginzburg
Il bisogno di un recupero di questi valori legati alla relazione umana e agli affetti ci riporta, come un nastro invisibile, a rileggere i testi dispersi di Natalia Ginzburg che vengono riproposti nello “Speciale”: si parte dal brano intitolato Per chi scriviamo: “A noialtri scrittori ci va male quando non scriviamo. È un disastro. Poi un giorno ripigliamo a scrivere, non si sa come. Sapere per chi scrivere è importante, perché vuol dire anche sapere per chi pensare e parlare. Vuol dire non sentirsi tanto soli quando si va per la strada. Scoprire una piccola scintilla di vita in ogni uomo che incontriamo. Una piccola scintilla di vita in ognuno – e poi allora si sa per chi scrivere. Si sa per chi pensare e parlare”. E poi si passa a temi come quello dell’educazione infantile: “Un’eccessiva indulgenza, come un’eccessiva severità, non può che recar danno allo sviluppo spirituale del bambino. Vi sono alcuni principi che sempre dobbiamo tener presenti e ai quali né noi, né il bambino dovrà mai mancare. Vi sono alcune cose essenziali la cui gravità ed importanza dev’essere insegnata al bambino fin dai primi anni della sua vita. La generosità, la sincerità, l’onestà, la fede alla parola data, sono i valori che vanno indicati al bambino come quanto ha di più bello la coscienza umana. Ma il mezzo migliore per insegnarli al bambino è amarli e metterli in atto noi stessi”. E si giunge infine alla splendida recensione del Lamento di Portnoy di Philip Roth. Una lettura molto ricca e piacevole, per il nostro lettore, uno “scrivere per la voce”, come nota acutamente Lella Costa, nel testo intenso che chiude lo Speciale: “Sono testi pieni di ironia, surrealtà e però anche capacità di ritrarre delle situazioni, delle relazioni, degli ambienti familiari, sempre con quel tocco di svagatezza che è una delle qualità vocali, insieme ai toni molto profondi, di Adriana Asti, per la quale è stato scritto Ti ho sposato per allegria; ma ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto vederlo interpretato anche da una Rina Morelli giovane, un’altra voce con questi toni appunto svagati, surreali, distratti ma non artefatti. Sono personaggi in cui, per un’interprete, non gioca tanto l’immedesimazione quanto la sfida e la possibilità di trovarci un’infinità di toni, di spunti, di invenzioni, perché quella che hai a disposizione è una straordinaria tavolozza sonora”.
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