La chiamavano la “lunga durata”
Questo numero si apre con la Russia che a 100 anni dal 1917 vive con enorme imbarazzo quella ricorrenza: oggi ci sono gli archivi aperti che permettono agli storici – quelli russi in primis – di fare ricerca e di raccontare, con la dovuta documentazione, quella enorme confusione e sovrapposizione di istanze politiche che portarono alle rivoluzioni del 1917. Ma, prima di sedimentare, le nuove conoscenze hanno bisogno di tempo, mentre le interpretazioni (spesso dettate da bisogni politici contingenti) sono immediate e facili da comunicare al grande pubblico, così ci raccontano Maria Ferretti e Igor’ Narskij.
I libri, alcuni libri, che sono il nostro orizzonte da sempre, possono mettere in discussione nel lungo periodo una partita (quella della conoscenza fatta da studio, competenza, acribia, vaglio delle fonti, contestualizzazione degli eventi) che nel breve tempo sembra perduta. E ci sono libri che, per quello che narrano e per come l’autore ha saputo farlo, resistono al tempo, alle intemperie politiche e alle mode. Furore di Steinbeck non cessa di essere letto, e non è un libro facile, non nel senso odierno del termine cioè quello di un testo concepito con espliciti intenti commerciali (autore noto specie in tv, trama confezionata in modi accattivanti con regole precise su registro, lunghezza, dosaggio di elementi, tempi e personaggi). A ben pensarci è nella sua essenza quanto di più impopolare oggi si possa pensare: l’epopea di un popolo in fuga, come ci spiega Cinzia Scarpino, cioè l’odissea di gruppi umani che emigrano per motivi economici: perché sono poveri e affamati. Quelli che oggi la fortezza Europa vorrebbe rispedire ai luoghi d’origine. Volponi non ha sicuramente una fortuna di pubblico paragonabile a Steinbeck, ma le sue parole, anche negli scritti minori, non smettono di apparirci profetiche e profonde.
La storia e la letteratura si intersecano spesso in modi fortunati e in quei casi si illuminano reciprocamente di sfumature e dettagli. Un esempio recente è fornito dalla Saga dei Cazalet di Elizabeth Jane Howard di cui Fazi ha appena tradotto il quinto e ultimo volume. Un romanzo lungo (oggi si dice seriale) che guarda ai modelli ottocenteschi e che miete successo di pubblico (e almeno inizialmente di critica come fa osservare malignamente la sua autrice) ovunque venga tradotto, Italia inclusa.
Restando in tema di anniversari, fortune editoriali e incroci tra storia e letteratura arriviamo al cuore del giornale e al suo speciale che si apre con un’intervista a Giorgio Pinotti colui che per Adelphi ha ideato e curato la ripubblicazione dei romanzi di Curzio Malaparte. Nel “sessantesimo anniversario della sua morte, il grande rimosso della letteratura italiana del Novecento sembra godere di una seconda vita e di un’attenzione inedita” scrive la curatrice dello speciale Beatrice Manetti, e i numeri delle copie vendute sono lì a dimostrare che anche gli autori scomodi e le vie di lettura più tortuose possono avere, e talvolta hanno, il loro pubblico.
Si continua a discutere dei destini della sinistra, lo fanno Gian Giacomo Migone e Vincenzo Vita, e può essere suggestivo accostare i loro ragionamenti a un’altra pagine del giornale quella in cui, partendo dai libri di Elisa Pazé (Giustizia, roba da ricchi) e Christian Raimo (Tutti i banchi sono uguali), Elisabetta Grande e Jacopo Rosatelli raccontano come in materia di giustizia e di scuola la nostra società resti (o stia ritornando ad essere?) classista. Nessun rimpianto per i bei tempi andati (non erano belli se non per pochi, i soliti abbienti, e anche loro a volte morivano di polmonite) perché tra i tempi dell’analfabetismo di massa, del codice Rocco (mai del tutto mandato in soffitta) e del colera a oggi molte frontiere del diritto, della salute, del benessere materiale e dell’istruzione sono state spostate in avanti in senso progressista e inclusivo. Ma la sinistra o recupera coerentemente quell’orizzonte di senso o si perde nei rivoli delle sigle elettorali, nelle alchimie tattiche della prossima tornata elettorale (nazionale, europea o di circoscrizione che sia) fino a diventare impercettibile, irriconoscibile, fumo o nebbia, dispersa, triste come in certe tavole brumose di Matticchio. Tutto il giornale è illustrato con i suoi disegni per celebrare l’uscita del suo ultimo libro Signor Ahi e altri guai: Dario Voltolini nel recensirlo ne coglie, tra la rigogliosa immaginazione, la cifra poetica. E una stramba intervista, che inizia senza domande, ne mette in luce il carattere ironico e schivo.
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