Un romanzo al femminile, il senso della storia e film senza virtuosismi
Anche il numero di febbraio dell’Indice, come già quello di dicembre con il testo di Marina Jarre offre al lettore un inedito prezioso. In accostamento alla recensione dell’ultimo romanzo di Ermanno Rea, scrittore recentemente scomparso, si rievocano e fatti e i personaggi di Mistero napoletano.
In una Napoli in cui, come spiega Mario Marchetti «alla stagnazione ideologica stalinista si aggiungeva una più complessiva stagnazione». Francesca Nobili Spada, l’autrice dell’inedito, è «ansiosa di partecipare alla vita del partito e, in un certo senso di sublimarsi (per il suo passato burrascoso come lo si definì in quel contesto). E proprio nel 1953 si svolge fondamentalmente il suo romanzo-testamento: un romanzo imperfetto e incompiuto ma di straordinario interesse. Francesca è irrequieta come i due personaggi femminili in cui si sdoppia nel corso della narrazione, Maria e Laura. Il loro è un punto di vista femminile in un mondo tutto al maschile e maschilista (‘lo stalinismo fu anche questo…ipocrisia di stampo moralistico, maschilismo’, scrive Rea in Mistero napoletano): qui sta l’eccezionalità di questo testo che si affianca degnamente alle pagine ‘maschili’ di Bianciardi e di Morselli». Si tratta di un testo che richiama da vicino le vicende attuali del nostro paese, colpito anche oggi, come allora, da calamità naturali, politiche ed economiche: «Con le sue più di trecento vittime, l’alluvione di Salerno, del 25 e 26 ottobre 1954 − un pezzo di ottima docufiction che occupa gran parte del capitolo X, il testo che qui pubblichiamo –, nel romanzo adombra non solo il fallimento di un paese ma anche del partito che voleva innovarlo: ironia della sorte, proprio a Salerno si erano tenute tra il 3 il 4 dicembre 1949 le Assise della Rinascita, ovviamente del mezzogiorno».
Sempre nell’ambito dei “narratori italiani” Antonio Daniele tenta un ardito confronto fra Saviano e Machiavelli, che mette al centro dell’attenzione il rapporto fra passione politica e civile ed espressione letteraria: «Ecco che il nuovo, ma vecchissimo, ‘principio machiavellico’ che si staglia da Saviano e dai suoi libri, fino a La paranza dei bambini nel quale la mimesi e, vorrei dire, la nemesi è completa, non è che questo genetico, italico ardore di persistenza nelle cose, nei fatti. Come in Machiavelli – scrisse Moravia – ‘la necessità di non affogare nell’indifferenza, lo spinge a ferirsi a morte pur di sentirsi vivo’, così in Roberto Saviano l’urgenza della passione civile ha richiesto, e tuttora richiede, non solo una ipertrofia della parola ma anche una ambigua e tormentata sovraesposizione della figura».
Nella rubrica del “libro del mese” una doppia recensione al libro di Gruzinski Abbiamo ancora bisogno della storia?. A essere esplorata è la tensione «fra l’odierno mondo globalizzato, con il suo senso di smarrimento ormai onnipresente, per l’incessante rimescolamento di tradizioni, consumi e orizzonti simbolici e materiali, e un dato che coglie di sorpresa i più: il sistematico superamento della dimensione locale non è affatto una caratteristica inedita del nostro tempo, ma ha una storia, che inizierebbe, appunto, dal Cinquecento, a partire da quando la mobilità di un numero crescente di uomini, idee e oggetti stabilì una pluralità di connessioni che disegnarono intrecci su scala globale». Ma se la storia “ancora serve” deve essere messa al servizio anche della riscoperta di zone poco note e di eventi dimenticati o sepolti, come la storia della divisione Garibaldi, tanto nota in Montenegro quanto sconosciuta in Italia, dove peraltro non esiste un vero monumento a ricordarla. Ne parla Eric Gobetti in un interessante Segnale.
Nelle pagine delle “letterature” recensioni a libri di Pascal Manoukian, Ingo Schulze, Pierre Michon e Anna Seghers (in una nuova traduzione). Poi Seamus Heanus recensito da Irene De Angelis e una pagina di fumetti dedicata alle opere di Toppi, Cristante e Tosti. Maurizio Franzini, recensendo il libro Il capitale quotidiano. Un manifesto per l’economia fondamentale racconta il “capitalismo oligarchico”.
Nella nuova puntata della rubrica “Ragionar teatrando” Raffaella Di Tizio illustra con solidi argomenti la complessità dell’arte di Dario Fo, ad alto rischio di fraintendimento. In “Effetto film” Matteo Pollone parla di “rinuncia al virtuosismo” per l’ultimo film di Martin Scorsese: «Un film essenziale…che rinuncia quasi completamente all’accompagnamento musicale e che lavora molto sulla rappresentazione dei quattro elementi naturali e dei corpi umani spogli, scavati, feriti, sporchi, talvolta lacerati».
Un numero vario, denso, avvincente.
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