Scrivere per togliere la maschera
Nell’intervista pubblicata da “La Quinzaine” e riproposta nel Villaggio globale, Xavier Cercas dichiara: “Non credo che la letteratura sia un divertissement. Deve servire a smascherare il reale ed è così che ci rende più forti. È pericolosa perché la conoscenza è un rischio. Io scrivo per togliere tutte le maschere, fino all’ultima. Ignoro se ce ne sia una che sia l’ultima”. Nel romanzo L’impostore, scelto come libro del mese, Cercas racconta la storia dello smascheramento di Enric Marco, già presidente dell’Amical di Mauthausen: lo storico Benito Bermejo dimostra in modo inconfutabile che non era mai stato nel lager di Flossenburg, né era mai stato deportato dai nazisti. Strumento dello smascheramento diventa, nel libro di Cercas, il duello con lo stesso Marco che si offre di collaborare, il contrappunto serrato tra il racconto dell’impostore e i fatti reali ricercati con l’acribia dello storico e del biografo. Il personaggio diventa, come ci spiega Simone Cattaneo, il simbolo di tre imposture: quella di un popolo spagnolo reticente e mediocre, quella dello scrittore e quella del testimone di fronte alla verità degli storici. Al lettore risulterà evidente che questo romanzo, che racconta la lotta della soggettività di chi narra e di Marco, nel tentativo di afferrare brandelli autentici di vita e di storia, ci porta a riflettere sui meccanismi del racconto e sul rapporto tra finzione e realtà. Alla condanna senza appello che tocca a chi mente (su fatti così tragici e dolorosi) il filtro letterario sostituisce la complessità irrisolta di verità sfuggenti e che non possono essere sottoposte a un giudizio. Una lezione che in qualche modo sembra valere anche per la lettura di altri fenomeni: Federico Paolini, parlando di temi legati all’ambiente, ci invita a mettere a fuoco il dogmatismo imperante e a porsi al crocevia fra problemi reali e ideologia; mentre Giovanni Filoramo ci mette in guardia sui “cattivi racconti” del cristianesimo, in mancanza di una vera e propria chiave interpretativa di fondo, e dove l’oggetto stesso della trattazione non può essere dato per scontato.
Quando si legge bene la storia, invece, è possibile collegare, interpretare usando l’analogia e il confronto, come fa Alice Balestrino con la violenza del carcere di massima sicurezza di Guantanamo e la società schiavista, entrambe manifestazioni storiche della prepotenza coloniale statunitense. Di fronte ai grandi sommovimenti del tempo presente qual è il ruolo dell’intellettuale e come è cambiata la sua figura nel corso del tempo? In un’intervista a Enzo Traverso emerge positivamente l’esperienza di Podemos in Spagna, un movimento creato da un piccolo gruppo di accademici capaci di farsi organizzatori sociali nel senso gramsciano del termine. Torna ancora il tema, che percorre tutto il numero dello smascheramento: “Si deve essere coscienti che questo mito della competenza serve in molti casi a smascherare delle prese di posizione ideologiche. Il ruolo dell’intellettuale consiste nel demistificare il mito della competenza e della scienza. Questo non significa che chiunque alzi la voce per criticare il potere dica cose intelligenti o interessanti ma vale anche il contrario: non è sufficiente incarnare un sapere specialistico per dire cose intelligenti”.
Come sanno i nostri lettori, “L’Indice” è molto attento all’uso delle competenze, non intese come specialismi o accademismi, ma come fonte di approfondimento e di accensione di curiosità: ne sono esempi eccellenti le recensioni al libro di Francesco Benigno La mala setta sulle origini dello stato unitario in cui marginalità sociale, reazioni e resistenze si confondono con gli albori di quelle che diverranno le organizzazioni criminali di mafia e camorra.